L’intervista

Legge elettorale, Zagrebelsky: “Non è più dei cittadini, ma dei partiti. Rischiamo l’ennesima riforma incostituzionale”

Gustavo Zagrebelsky - “I partiti studiano i sistemi di voto per regolare i conti tra di loro: i cittadini sono trattati come pedine”

7 Ottobre 2017

Se questa fosse un’operetta morale, potrebbe intitolarsi Dialogo tra un realista e un utopista. Ma con Gustavo Zagrebelsky stiamo per parlare di temi assai prosaici, e non è il caso di scomodare Leopardi, anche se quel Piangi che ne hai ben donde Italia mia potrebbe fare al caso nostro.

Professore, ha recentemente detto che non ne può più di sentir parlare di legge elettorale. Prima del referendum, aveva detto la stessa cosa delle riforme costituzionali…
È vero. Durante l’ennesimo dibattito alla vigilia del 4 dicembre ricordo che cominciai dicendo: “Non ne posso più”, suscitando un applauso. Evidentemente, gli infiniti discorsi su “le regole” hanno stancato.

La legge elettorale è lo specchio della democrazia. Tra le leggi ordinarie, ha detto Carlo Smuraglia, la più vicina alla Costituzione.
Sì. Dovrebbe essere quella più vicina ai diritti politici dei cittadini. La legge elettorale crea, modella l’elettore, gli dà o gli toglie potere. Dovrebbe essere la sua legge. Invece da anni è trattata come la legge dei partiti. Serve a regolare i conti tra loro, ad accaparrarsi posti. Il risultato delle elezioni interessa meno perché i giochi si vogliono fare prima, con la legge elettorale. Si capisce, allora, l’estrema litigiosità e, al tempo stesso, il fastidio, anzi la nausea, dei cittadini che assistono al gioco dall’esterno.

Non le pare irrealistico che i partiti non pensino ai propri interessi?
Certamente. Quando i partiti scrivono la legge elettorale operano in causa propria e la posta, per loro, è grande.

Quindi li assolviamo?
Non si tratta né di assolverli, né di condannarli. Che ci sia sempre un retro-pensiero è inevitabile. C’è sempre stato. Manca quello che si chiama il “velo dell’ignoranza” circa i propri interessi immediati. Potendo fare calcoli, dell’interesse generale non importa a nessuno. Tutto si risolve in convenienze e compromessi neppure dichiarati alla luce del sole. Ma ci sono i cittadini: per poco che si rendano conto di ciò che accade, si accorgono d’essere trattati come meri strumenti, come pedine della dama. Ecco: non popolo, ma pedine.

È sano fare una legge elettorale alla vigilia delle urne?
Per niente. Si dice sempre che se c’è una legge che dev’essere stabile è quella elettorale, proprio per evitare che si confezionino sistemi ad hoc. Esiste, per questo, un codice di buona condotta del Consiglio d’Europa, datato 2003, citato anche da una sentenza della Corte di Strasburgo, che dice che un anno prima delle elezioni non si devono fare leggi elettorali. Una ovvia regola prudenziale come è questa implica che ci sia qualcuno a vegliare sulla sua applicazione.

Chi dovrebbe essere?
Questo è il punto dolente. Non vedo facili rimedi. Immaginiamo che si approvi una nuova legge elettorale in prossimità del voto e che questa legge sia incostituzionalissima, addirittura per contrasto evidente con i precedenti della Corte costituzionale. Le procedure non consentirebbero di rivolgersi a essa in tempo utile. Si voterebbe con quella legge e le nuove Camere resterebbero in carica tranquillamente, ma incostituzionalmente, in virtù del principio di continuità, già evocato in passato. Non ci si è resi conto per tempo di questa assurdità: la Corte costituzionale ha dato la mano per prima, poi sono venuti i commentatori e i politici eletti che, comprensibilmente, avevano tutto l’interesse a terminare il mandato parlamentare. Con la conseguenza aberrante che le sentenze della Corte non hanno sortito effetto e il gioco può essere ripetuto all’infinito: basta votare la legge quando non è più possibile ricorrere contro i suoi vizi.

E allora?
Oggi è troppo tardi ma, forse, il presidente della Repubblica avrebbe potuto dire per tempo: non promulgherò nessuna legge elettorale nell’ultimo anno prima dello scioglimento delle Camere. Cosicché si andrà a votare con le zoppicanti leggi sortite dalla Consulte: zoppicanti ma certo migliori dei pasticci cui stiamo assistendo.

In 4 anni il tempo c’era…
Ma adesso non c’è più. Dopo la sentenza che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum, che secondo la Corte aveva rotto il rapporto di rappresentanza tra eletti ed elettori, ci si sarebbe aspettati che il Parlamento regolarizzasse la situazione.

Si potrebbe obiettare: è passato remoto.
O forse futuro prossimo: corriamo il rischio – fondatissimo – di avere un’altra legge incostituzionale, contro cui non ci sarà il tempo per ricorrere alla Consulta. Quindi potremmo eleggere un’altra volta il Parlamento con una legge illegittima, dovendo poi digerire la beffa di un’eventuale sentenza della Corte che non servirebbe a nulla.

Qui il confine tra perversione democratica ed eversione è labile…
Diciamo così: sarebbe il picco di una scostumatezza costituzionale mai vista prima.

Proporzionale vs maggioritario: lei da che parte sta?
Le maggioranze speciali previste dalla Costituzione valgono a garanzia delle minoranze e sono sensibili al sistema elettorale. I premi elettorali rischiano di vanificare gli intenti dei costituenti. Si potrebbe pensare a una modifica della Costituzione in funzione di garanzia: se si introduce un premio di maggioranza, si adeguino i quorum costituzionali, alzandoli conseguentemente, per impedire ai vincitori di fare quel che vogliono a spese delle minoranze.

Dunque, meglio il proporzionale?
In generale sì: è il sistema più onesto perché riflette perfettamente il principio di rappresentanza elettori-eletti. Non si presta a manipolazioni ma implica che i partiti si assumano responsabilità politiche e siano in grado di fare coalizioni. Oltretutto, maggioritari e premi di maggioranza applicati a sistemi politici frammentati come il nostro, dove il partito più forte è lontanissimo dalla maggioranza assoluta, provocherebbero una distorsione della rappresentanza inaccettabile.

Ma la sera stessa delle elezioni non si saprebbe chi ha “vinto”…
È curioso come questo formuletta, che sentivamo ripetere ogni minuto, sia scomparsa… Oggi tutti stanno pensando a come trafficare la mattina dopo. Nella situazione attuale il maggioritario o il premio indicherebbero un vincitore. Ma subito dopo inizierebbero i guai perché le coalizioni fatte prima servono solo a vincere le elezioni per poi squagliarsi subito dopo. Non abbiamo riprove a sufficienza? Altro che stabilità, altro che “governabilità”! Vogliamo parlare dell’arte del trasformismo? Talora serve al governo a tirare avanti, ma a che prezzo per l’integrità della politica?

In questa legislatura un voltagabbana ogni tre giorni: un’interpretazione piuttosto disinvolta dell’assenza di vincolo di mandato.
A metà dell’Ottocento Walter Bagehot, nel commento alla Costituzione britannica, individuava quattro funzioni del Parlamento: legiferare, rappresentare il meglio della Nazione, controllare il governo e sostenerlo. Sostenere il governo se si è nella sua maggioranza, non sostenerlo se si è all’opposizione. Si potrebbe studiare una riforma dell’articolo 67 della Costituzione che, garantendo la libertà di mandato per tutte le altre funzioni, ponesse limiti e prevedesse sanzioni (decadenza?) quando si ondeggia opportunisticamente sul quarto punto, il trasformismo vero e proprio, magari “incentivato” nel mercato dei voti. Anche qui, abbiamo bisogno di esempi?

A proposito: si aspettava il ritorno di Berlusconi? Come la mettiamo con l’ineleggibilità?
Se la domanda è: “Può un ineleggibile essere a capo di un partito?”, le rispondo: “Quale norma lo vieta?”. Non si può ragionare alla buona e dire “se non è eleggibile, non può essere capo d’un partito che si presenta alle elezioni né comparire nel suo simbolo”. Diremmo che un partito comunista non può mettere la barba di Marx nel suo simbolo perché Marx non è eleggibile?

I principali leader politici non siedono in Parlamento: significa qualche cosa?
È una delle tante conseguenze dell’emarginazione del Parlamento. Siamo a Torino: Cavour dove costruiva la sua politica e faceva i suoi più importanti discorsi? A Palazzo Carignano. De Gasperi, Togliatti, portavano alle Camere i grandi temi della loro politica. La questione della legge elettorale dovrebbe, tra le altre cose, riqualificare la rappresentanza: “Il meglio della Nazione“, dicevamo.

Non ha detto che effetto le fa il ritorno del Cavaliere.
Un capolavoro che ci meritiamo: non siamo in grado di produrre novità politiche.

Renzi era nuovo: è politicamente invecchiato?
La sua retorica è fuori tempo. Il futuro era la sua parola chiave, l’ha divorata e consumata. Alla Leopolda il motto era “Il futuro è ora”: provate a dirlo ai disoccupati, agli occupati precari e sottopagati, a quelli che non si curano perché non hanno soldi…

E la sinistra che impressione le fa?
Dopo il 4 dicembre si è aggrappata all’idea, sensata, di interloquire con i milioni di elettori che allora si sono mobilitati, pur disertando normalmente le urne. “Diamo loro motivo perché ritornino a votare”. Bene. Ma le pare che le cose che accadono possano suscitare speranze ed entusiasmi? Mancano drammaticamente la materia prima e la materia grigia.

Quale potrebbe essere il programma a grandi linee?
Non ci vogliono mille pagine ma nemmeno il poco spazio che abbiamo a disposizione. Però si potrebbero elaborare proposte concrete sugli argomenti più urgenti che conosciamo tutti: lavoro; flussi migratori; cultura e scuola pubblica; diritto alla salute, corruzione, evasione fiscale. Poi c’è un tema fondamentale: l’ambiente, il territorio, il diritto dei cittadini di avere sotto i piedi una terra sana, accessibile, bella. I cittadini di Taranto non devono vivere nel terrore di ammalarsi per l’aria che respirano, si deve abitare in case sicure e non abusive. E se uno vuole andare in spiaggia deve poterlo fare senza pagare. Sono programmi che costano e allora, oltre a dire che cosa si vuol fare, bisogna dire che cosa non si vuol più fare.

Torniamo alla legge elettorale. Gaetano Azzariti ha giustamente sottolineato che in una democrazia parlamentare la legge elettorale non serve a scegliere un governo ma è lo strumento con cui i cittadini eleggono i loro rappresentanti. Una prospettiva completamente scomparsa dal dibattito pubblico.
Sono gli orizzonti divergenti dei sostenitori del proporzionale e dei fautori del maggioritario. Ma i cittadini non vogliono essere considerati pecore dentro il gregge o mucche dentro la mandria. I cittadini sono la forza che dà senso alla politica, ai partiti che esprimono idee e programmi per attuarle. Non si dovrebbe avere la sgradevole sensazione che i giochi siano già fatti, ma si dovrebbe restituire al popolo l’idea di essere parte fattiva del gioco. E perché questo accada la legge elettorale non deve essere solo onesta, ma anche semplice e chiara, il contrario degli arzigogoli ai quali si dedicano gli esperti dei sistemi elettorali (quasi una categoria professionale).

Parliamo del Rosatellum nuova versione?
La legge elettorale deve anche essere “coerente”. Che senso ha dire agli elettori: vi diamo una quota di nominati e una quota libera? Cosa pensa il cittadino del “voto unico” che fa sì che il voto dato al candidato nel collegio uninominale si trasferisca automaticamente alla lista dei candidati nel collegio plurinominale e viceversa? Tutte le volte che logiche alternative s’inseriscono nel meccanismo elettorale, sorgono dubbi sulla onestà della legge.

Con i “nominati” la selezione non la fanno gli elettori.
Gli appuntamenti elettorali sono spesso quelli in cui, all’opposto di quanto teorizzava Bagehot, emerge il peggio della Nazione. Per correre dietro ai consensi che servono per vincere, i partiti non vanno troppo per il sottile. Non fanno differenze tra il voto delle persone oneste, informate e disinteressate e quello delle persone disoneste, disinformate e interessate: anzi, per lo più si coccola la seconda categoria che può offrire pacchetti di voti. In una situazione socialmente decadente, emerge il degrado.

Che fare? Sorteggio?
Lucrezio
nel De rerum natura racconta che gli Etiopi conferivano il potere del governo ai più belli: un sistema come un altro, no? Tornando seri, l’elezione non può che rispecchiare il grado o il degrado di elettori, candidati ed eletti, a seconda di chi ha in mano il gioco.

 

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