In queste settimane si parla molto, forse troppo, di burkini. Ovvero il vestito da bagno che indossano sulle spiagge le donne musulmane anche in Europa. O forse dovremmo dire soprattutto in Europa, perché è difficile pensare che in Paesi dove le donne vengono fustigate, lapidate, dove non possono uscire di casa senza un uomo e non possono guidare, siano libere di indossare un abito che comunque fascia il corpo e lo fa intravedere. Parlarne con un po’ di lucidità è difficile per chi culturalmente prova orrore di fronte all’idea che si può uscire per strada solo travestite da apicoltori o che bisogna farsi belle per il proprio marito, in casa. Dietro – vista da qui – c’è l’idea che una donna, il suo viso e il suo corpo, siano pericolosi e per questo da nascondere.
Tutto ciò chiarito, venerdì il Consiglio di Stato francese ha bocciato l’ordinanza anti-burkini di Villeneuve-Loubet, Comune della Costa Azzurra: “Ha danneggiato – scrivono i giudici amministrativi – in modo grave e manifestamente illegale quelle libertà fondamentali che sono la libertà di andare e venire, la libertà di coscienza e la libertà personale perché nessun elemento permette di affermare che dei turbamenti all’ordine pubblico derivassero dalla tenuta adottata da alcune persone”. L’ordinanza si applica direttamente solo al Comune contro il cui divieto è stato presentato ricorso. Ma molte altre località balneari hanno adottato ordinanze simili e i sindaci sembrano non voler desistere. Bisogna aver visto la foto scattata nei giorni scorsi a Nizza per capire l’insensatezza della proibizione: una donna che si trovava sulla spiaggia è stata costretta dagli agenti della polizia municipale a togliersi uno strato del burkini. Un assurdo atto di violenza perché, come abbiamo avuto già modo di scrivere, discrimina le persone in base a ciò in cui credono. Nessun individuo altrimenti vestito, magari con un cappello in testa, è stato sanzionato sulle spiagge del Sud della Francia o, peggio, costretto a fare lo strip-tease. Solo le musulmane in burkini.
Nicolas Sarkozy is the perfect candidate for a France so shaken by terror that it bans … https://t.co/7xZZHzdIRp pic.twitter.com/KImpunp0Pa
— The Telegraph (@Telegraph) 24 agosto 2016
A Cannes, altra località burkini-free, una donna di 34 anni è stata multata perché si è rifiutata di spogliarsi, di levare il velo e mostrare il collo agli agenti: “I poliziotti hanno detto che la mia tenuta non era corretta. Ma io non ero lì per provocare”. Ed è proprio questo che i fautori del divieto – Marine Le Pen in primis – sostengono: il velo è in sé una provocazione. Si sostiene anche che è impossibile decontestualizzare il momento storico in un Paese che piange decine di morti, caduti nei sanguinosi attentati di questi mesi. Ma identificare ogni islamico con un fanatico terrorista porta in sé rischi ancora maggiori. Senza dire che censure e divieti, oltre a trovare sempre il proprio antidoto, aumentano il disagio di chi li subisce e dunque potenzialmente possono portare a chiusure ancora più pericolose. Si è fatto un gran parlare della difesa dei valori occidentali: tra questi il primo è la libertà di autodeterminarsi, che non può valere solo per chi è uguale a noi. Non saremo meglio di chi vuole le donne avvolte dallo scafandro se le costringeremo a spogliarsi.