Dopo aver attraversato Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglia, il “mazzetta tour” si dirige ora verso la Campania. Di tangente in tangente attraversiamo quindi il subappennino dauno e ci dirigiamo verso Caserta. Vi avevamo lasciato nelle campagne del Foggiano, tra campi di pomodori biologici rinsecchiti, dove, per una mazzetta da circa 5 mila euro, consegnata a un funzionario dell’Arpa, uomini legati al clan dei casalesi erano riusciti a trafficare in rifiuti.
Il viaggiatore, questa volta, potrà visitare molti luoghi dedicati alla sanità – in Campania non si tratterà di un unicum – e presentarsi, tanto per cominciare, nell’ospedale Sant’Anna e san Sebastiano di Caserta.
Lenzuola d’oro, capitolo II
Dalla scrivania del dominus tangenti e raccomandazioni
Nel 2017 s’è scoperto che qui, in quest’ospedale, le lenzuola valgono oro. Riutilizzarle, invece di disinfettarle e sterilizzarle, è valso infatti 145 mila euro in tangenti, a fronte di guadagni extra enormi. Soldi finiti al potente direttore dell’ospedale, Carmine Iovine, dominus incontrastato degli appalti, come raccontano le indagini della Procura di Santa Maria Capua a Vetere, arrivate a conclusione con diversi arresti.
La scrivania del direttore dell’azienda ospedaliera di Caserta era – secondo i magistrati – il crocevia delle mazzette: in entrata e in uscita. Quando non incassava, il direttore raccomandava. L’interessamento per un appalto poteva, per esempio, valere l’ammissione a un corso di specializzazione del Campus Biomedico, l’ospedale universitario romano dell’Opus Dei, dove le selezioni per entrare sono durissime.
Al viaggiatore non deve peraltro sfuggire il seguente dettaglio: l’ospedale “Sant’Anna e San Sebastiano” era in mano al clan Zagaria. È il 2015 quando il Consiglio dei ministri ne scioglie, per infiltrazione del clan dei Casalesi, la struttura amministrativa. Scoprendovi una rete di connivenze capillare. E, da quel momento, i funzionari della Dia e la commissione prefettizia iniziano ad analizzare appalti, forniture, delibere. Cercano i possibili collegamenti con Michele Zagaria. Va precisato che, di contatti mafiosi, nella gestione interna del direttore Carmine Iovine, non ne sono emersi. E infatti, nonostante sia il cugino di Antonio Iovine, detto ‘o Ninno, uno dei capi del clan dei casalesi, in questa fase delle indagini è stata esclusa l’aggravante mafiosa. Ma la corruzione, quella, invece, secondo le accuse c’era eccome: le indagini raccontano un sistema che aveva infettato quasi ogni appalto. L’ufficio del direttore amministrativo era una sorta di crocevia. Entravano le mazzette per le lenzuola e uscivano raccomandazioni. Carmine Iovine – scrivono i magistrati – non mostrava “il minimo interesse per la tutela della salute dei pazienti e la tutela degli interessi dell’Ospedale di Caserta”. E così, quasi tutti i lavori e le forniture erano viziati da irregolarità, con un risparmio illecito enorme, da parte delle società che s’erano aggiudicate gli appalti. Lui chiudeva gli occhi dietro compenso. Falsificava verbali d’ispezione, raccontano le indagini, che poi consegnava alla Direzione investigativa antimafia, entrata nell’ospedale per verificare i possibili legami mafiosi. La sua “frenetica attività” era però seguita, passo dopo passo, attraverso le intercettazioni. Costruire un falso era un’arte: è vero che Iovine metteva in evidenza piccole irregolarità, ma per attestare che erano state superate.
Di mazzetta in mazzetta, di ospedale in ospedale, da Caserta ci spostiamo a Napoli. I favori, le raccomandazioni e le mazzette non hanno risparmiato la sanità Napoletana. “Sanificazione, sanitizzazione, facchinaggio, logistica, movimentazione merci, portierato, assistenza al pubblico, manutenzione delle aree verdi, gestione delle salme”. Insomma: c’era qualche settore in grado di sottrarsi allo scambio di mazzette nell’azienda ospedaliera Santobono, Pausilipon e Santissima Annunziata, il polo sanitario conosciuto come l’eccellenza per la pediatria? In città le prime due strutture sono note come gli “ospedali dei bambini”, il loro rilievo è riconosciuto a livello nazionale. Gli appalti, gestiti da colossi come la cooperativa Manutencoop, pesavano per quasi 12 milioni di euro e godevano, secondo i magistrati, di una corsia preferenziale, grazie a informazioni riservate che arrivavano discretamente dai vertici della struttura sanitaria. La mazzetta stabilita era di 200 mila euro, consegnata a uno dei direttori dell’azienda ospedaliera Santobono-Pausilipon, Pasquale Arace. Somma pagata in parte, con una prima rata da 55 mila euro, prima che le indagini della Procura di Napoli arrivassero a conclusione con gli arresti. Anche in questo caso la raccomandazione era moneta contante. Tra le mazzette i magistrati annotano l’assunzione della compagna di Arace come parte del pagamento pattuito. Anche dopo l’assegnazione dell’appalto il rapporto di corruzione continuava, coinvolgendo funzionari e impiegati. Se c’erano problemi della ditta fornitrice con Equitalia e con l’Inps in grado di bloccare i pagamenti, bastavano 500 euro al mese e l’immancabile assunzione del figlio del funzionario amministrativo giusto per sbloccare la situazione. Meglio ungere, in certi casi, che pagare il dovuto.
Il sistema di corruzione scoperto dalla Procura non si fermava agli ospedali infantili. Il giro di mazzette arrivava anche alla gestione degli appalti dell’Adisu, l’ente che si occupa del diritto allo studio, dai finanziamenti per gli studenti alle residenze universitarie. Se un incarico professionale andava al commercialista giusto, lo scambio prevedeva un aiuto discreto nel concorso da notaio per la figlia del funzionario infedele. Questione di conoscenze giuste.
Scacco a La Regina
La maxi-inchiesta “The Queen”
Dagli ospedali – ai più scaramantici si consigliano i dovuti scongiuri – il viaggiatore potrà spostarsi nella prossima tappa e dedicarsi alla visita d’un cimitero. Per la precisione, quello di Pompei. tra una lapide e l’altra, gli ricordiamo che qui, particolari conoscenze, hanno permesso a una società di professionisti, la Archi Cons, di influenzare la commissione di gara del Comune di Pompei, per la progettazione e la realizzazione dell’impianto di cremazione cittadino, al Consorzio Infratech.
Ed è soltanto uno dei tanti episodi al centro dell’inchiesta “The Queen” che vede indagate ben 77 persone. Da Pompei, spostiamoci a Cerreto Sannita, provincia di Benevento, 70 chilometri dal capoluogo. Cittadina antica, Cerreto Sannita, non quanto Pompei, ma vanta comunque dei beni culturali da proteggere. Come la torre civica medievale di Cerreto Vecchio. Il visitatore sappia che il restauro, per qualcuno, doveva andare alla ditta Eretto Opere Stradali. A garantire l’aggiudicazione della gara a questa società è stato l’ex assessore regionale ai Beni culturali, Pasquale Sommese, che “per il tramite di Sommese Antonello, suo stretto collaboratore”, faceva assegnare i lavori alla ditta, sì, ma “prima ancora della indizione della gara”. “Aggiudicazione poi effettivamente realizzata – si legge negli atti – grazie alla complicità di pubblici ufficiali del Comune”. In cambio, i due Sommese, ricevevano da Antonio Eretto 50 mila euro.
Sempre l’assessore e il suo collaboratore, poi, sono stati indagati per alcuni lavori per il polo museale di Alife, Comune del Casertano a trenta chilometri da Cerreto Sannita. Sommese avrebbe garantito finanziamenti regionali, per il Polo museale, in cambio di “una somma di denaro non quantificata, nonché la garanzia dell’affidamento dell’appalto alla ditta Thermoimpianti da lui designata”. Qualche garanzia avrebbe dovuta fornirla anche Domenicantonio Ranauro, funzionario regionale e responsabile unico del procedimento per l’istruttoria legata al finanziamento dell’opera, che avrebbe ottenuto “l’incarico di consulenza per il figlio Giovanni del valore di 10.000 euro”. Tangenti e incarichi sono andate anche ad altri funzionari, tra cui il sindaco di Alife, Giuseppe Ayecone, affinché influenzassero la gara in modo favorevole per i professionisti e le ditte private. Dalla Campania spostiamoci in Abruzzo, passando per il Molise dove, annotazione dolorosa per il viaggiatore, non potremo sostare: nel 2017 non si contano infatti nuove mazzette.
Proposte elettorali in Abruzzo
“Voglio i lampioni in strada”
Spostiamoci a Giulianova, in provincia di Teramo, dove la dirigente del comune, Maria Angela Mastropietro, responsabile dei Servizi alla città e al territorio, secondo le indagini della Guardia di Finanza, “asserviva costantemente la funzione pubblica … per denaro e altre utilità”. In particolare, la Mastropietro rilasciava i permessi per i lavori di costruzione a Nello Di Giacinto, imprenditore edile, nonché ex assessore a Giulianova, e a Filippo Di Giambattista della “Giulianova Patrimonio”, società in house del comune. Permessi per esempio, per la costruzione un edificio di civile abitazione appartenente proprio a Di Giacinto, mentre il progettista e direttore dei lavori era Filippo Di Giambattista. La ditta esattrice dei lavori? La “Rima”che in realtà, secondo l’accusa, era “di fatto gestita dalla stessa Maria Angela Mastropietro e dal marito”. L’appalto per la costruzione? Secondo gli inquirenti 200mila euro. E ancora: la Mastropietro avrebbe fatto “plurime indebite pressioni e richieste presso la ‘Ruzzo Reti’ Spa”. Parliamo di un ente a partecipazione pubblica, ‘Gestore del Servizio Idrico Integrato’ nella provincia di Teramo” che cura anche la rete fognaria di Giulianova. Le pressioni miravano a “far rilasciare, in favore di Di Giacinto, l’autorizzazione a smaltire le acque di falda e di cantiere nella condotta delle acque nere”. Autorizzazione che però non viene rilasciata.
Arriva comunque il rilascio di una autorizzazione di fatto a Nello Di Giacinto e al proprio coniuge Stefano Di Filippo, a smaltire le acque di falda e di cantiere nelle condotte comunali delle acque bianche meteoriche sfocianti a mare”. Sappiate, comunque, che le falde erano state chiuse, a tutela dei bagnanti, con “una ordinanza emessa proprio dalla dirigente Mastropietro”. E poi ci sono i fratelli Andrea e Massimiliano Scarafoni, imprenditori edili, che grazie alla dirigente negli anni 2015 e 2016 hanno ottenuto affidamenti dal Comune di Giulianova superiori a 100mila euro. Il tutto a quale prezzo? La Mastropietro, secondo l’accusa, riceveva “il pagamento … di 35mila euro al marito, Stefano Di Filippo, a titolo di consulenza”. Oltre “il comodato gratuito, durato circa trenta mesi, in favore della società “Rima”, gestita secondo l’accusa dalla stessa Mastropietro, di un bene immobile. Per gli amanti della mazzetta ecologica, la storia non si ferma qui: i fratelli Scarafoni avrebbero corrotto anche altri funzionari pubblici installandogli in casa un impianto fotovoltaico e uno eolico a tre pale. E da Giulianova, infine, spostiamo nel comune di Collelongo, dove s’invita il lettore a dare un’occhiata ai lampioni. La Polizia di Stato ha infatti accusato di corruzione l’ex sindaco di Collelongo, Angelo Salucci, per lo svolgimento di una gara fittizia, si faceva “promettere e fornire”, da un imprenditore, “lampioni aggiuntivi da collocare nelle vie e zone dallo stesso richieste, in occasione delle elezioni amministrative, che lo vedevano ricandidato alla carica di Sindaco, di valore pari a € 15mila euro”.
5 – CONTINUA
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