La versione di Renzi non prevede la parola Consip. Come Fonzie, l’eroe degli Happy Days di Matteo, non riusciva a dire “scusa”, così il leader del Pd non ce la fa a citare nel suo libro la società che tanti problemi ha creato non solo a lui ma agli italiani. Bisogna capirlo. Se Renzi nel libro avesse citato Consip, poi avrebbe dovuto inserire anche la parola odiata dal suo idolo di infanzia. Come fai a scrivere Consip senza chiedere scusa per aver favorito la nomina di un amico di papà Tiziano al vertice? Come fai a non vergognarti di una società capace di una performance così imbarazzante sulla gara più grande d’Europa?
Meglio non citare Consip che dover spiegare perché in tre anni e mezzo di corso renziano la centrale acquisti non sia riuscita ad assegnare la gara più importante di cui si è mai occupata, la FM4 per la manutenzione e la pulizia di tutti gli uffici pubblici italiani.
Secondo la testimonianza di Luigi Marroni, quella gara interessava tanto al compare del Babbo e Tiziano Renzi lo raccomandò a lui. Il compare si chiama Carlo Russo e il suo nome ovviamente nel libro non c’è. La sindrome Renzie è in realtà più grave della sindrome Fonzie. Il mitico bullo americano in fondo non riusciva a pronunciare solo la parola “scusa”, il suo emulo toscano ha difficoltà con più nomi.
Renzi non ha mai scritto il nome Consip, ma in 240 pagine roboanti di storytelling mancano anche i nomi di altri due protagonisti dello scandalo che tiene banco da mesi: Luigi Marroni e Filippo Vannoni, i manager renziani che con le loro dichiarazioni hanno inguaiato Luca Lotti e il padre Tiziano sono fantasmi.
Il libro Avanti pubblicato da Feltrinelli riesce nel miracolo di non citare né l’ex amministratore delegato di Consip né il presidente della Publiacqua fiorentina.
Renzi salta a pié pari le loro deposizioni, al centro dell’indagine per rivelazione di segreto e favoreggiamento per la quale è stato ieri interrogato Luca Lotti. Peccato davvero. Così Matteo perde la grande occasione di spiegare agli italiani perché il manager Marroni, nominato da lui e amico del babbo, avrebbe dovuto accusare falsamente il padre di avergli raccomandato un “facilitatore”, compare di Tiziano, cioè il solito Carlo Russo.
Peccato davvero. Perché così Matteo Renzi perde l’occasione di rispondere a quelle domande che i distratti intervistatori tv incontrati finora mai gli hanno posto.
Per esempio, Renzi non spiega il comportamento tenuto da lui e dal padre nei confronti di Carlo Russo. Non ci dice perché, dopo avere scoperto (secondo le ipotesi dei carabineri del Noe ma anche dei pm romani), che Russo spendeva il nome di babbo Tiziano con l’imprenditore Alfredo Romeo in diversi incontri per ottenere la promessa di soldi da Romeo stesso anche per il babbo, non lo hanno preso pubblicamente a male parole.
Perché il babbo ha citato in giudizio noi del Fatto, che abbiamo pubblicato le notizie, e non Russo? Né spiega perché il massimo che sia uscito dalla bocca dell’avvocato di Tiziano Renzi, Federico Bagattini, contro Russo sia la sanguinosa frase: “Tiziano è stato vittima di un abuso di cognome”, un’espressione ben più dolce di quelle riservate da babbo Renzi ai cronisti. Le omissioni su Consip, su Marroni, su Vannoni e su Russo lasciano il lettore a bocca asciutta, ma permettono al leader Pd di non dover spiegare altre cose imbarazzanti.
Per esempio, perché Marroni, da testimone obbligato a dire la verità, ha confermato le accuse a Lotti mentre Vannoni – da indagato che può mentire – ha cambiato versione, confermando quella di Lotti? Né Renzi spiega nel libro se ci sia una relazione tra la diversa scelta dei due e il loro destino.
Renzi avrebbe potuto spiegare se Vannoni sarebbe rimasto al suo posto anche se avesse confermato la sua versione. E se davvero Marroni sia stato sfiduciato perché ha confermato la sua testimonianza accusatoria. Sarà per il prossimo libro.