La storia è facile da capire. Ci sono tre protagonisti. Il primo è l’Unesco, che ha come compito la cultura del mondo, a nome e con il simbolo delle Nazioni Unite. Il secondo è il documento presentato il 12 ottobre a quella assemblea, da un gruppo di Paesi arabi (Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman. Qatar, Sudan), di solito ritenuti “moderati” tranne il Sudan, luogo di guerriglie e di stragi, al punto che il suo presidente è ricercato per crimini contro l’umanità.
Il terzo è il gesto del rappresentante italiano. Si astiene. Si astiene da un documento che accusa Israele come potenza occupante (non di territori palestinesi, ma in quanto esistente) e che potrebbe essere intitolato “giù le mani da Gerusalemme”. Con quel documento “è stata negata l’identità ebraica di Gerusalemme e dei suoi storici luoghi di preghiera e raccolta, di pianto e feste, di inno alla vita e alla libertà ritrovata. Come accettare che l’Unesco, agenzia preposta allo sviluppo della cultura, si esprima in tal modo? Per ben due volte, a distanza di pochi giorni, nonostante chiari segnali di allarme, il rappresentante italiano ha scelto, attraverso l’astensione, di rimanere in silenzio. Un silenzio che concorre al negazionismo contro il quale oggi, tutti alziamo la voce”.
Cito dalla lettera inviata da Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche, al presidente della Repubblica Mattarella che, a giorni, visiterà per la prima volta Israele da capo dello Stato italiano. E come tante volte è accaduto in passato, dirà parole buone e giuste.
Ma dovrà anche essere in grado di spiegare perché il ministro degli Esteri italiano ha dato istruzione al rappresentante italiano presso l’Unesco di astenersi su un atto di negazionismo così esplicito ed estremo. Si tratta di una decisione che sposta l’Italia dalla parte di coloro che, sotto tutti i pretesti possibili hanno, come impegno principale in quell’area del mondo tormentata (come adesso) da spaventose guerre di Califfato, petrolio e religione, lo sradicamento di Israele che, semplicemente non deve esistere. La Farnesina potrà spiegare che il comportamento del nostro personaggio di cultura che, all’Unesco, si astiene su un documento che nega la presenza multimillenaria dell’ebraismo a Gerusalemme (che sono pietre, storia, Bibbia e Vangeli) non è una questione di negazionismo. È questione di affari.
Del resto siamo il Paese che ha rinunciato senza problemi alla verità sul caso Regeni, alla verità sulla sua barbara esecuzione al Cairo, pur di non generare malumore nei nostri partner egiziani, fornitori di energia e vacanze. Però potrà il presidente Mattarella avvalersi di queste ragioni, che sono un po’ ignobili, ma sono le sole disponibili? “Illustre presidente – scrive infine la presidente Di Segni a Mattarella – gli ebrei italiani restano fiduciosi che il Quirinale possa risvegliare un orientamento di saggezza e di equilibrio”.
La questione però non è privata e di sentimenti. È politica e storia. Un Paese come l’Italia non può negare il doppio legame multimillenario, di potere e di fede, tra Roma e Gerusalemme (testimoni l’una dell’altra) e offrire ancora una volta una risposta pilatesca alla sarcastica negazione dell’ebraismo di Gerusalemme. Sarebbe bello se il Papa, che certe volte è così diverso e non conformista, si offrisse come testimone di Gerusalemme. Di certo lo deve fare l’Italia, disconoscendo quell’astensione umiliante (può chiamarsi fuori dall’attacco contro l’ebraismo di Gerusalemme l’altro grande protagonista della storia di quei millenni?) e ricollocandosi nel percorso della storia non alterata dal fanatismo.