Qualche impressione sulla due giorni di Italia5Stelle a Palermo.
Grillo. È il padrone del marchio, dunque decide lui quando fare un passo avanti, indietro, di lato, quando è un po’ stanchino, quando s’è ripreso, quando è portavoce, quando è garante, quando è capo, quando non lo è più, quando lo è di nuovo. Per la democrazia interna, c’è ancora molto da fare. Ma forse un movimento rissoso (come tutti i movimenti) una democrazia completa non se la può permettere (come nessun partito al mondo). L’orchestra è già abbastanza cacofonica: figurarsi se sparisse pure il direttore con la sua bacchetta.
Casaleggio (Gianroberto). Non c’è più da sei mesi, ma il lutto è difficile da elaborare. Così continua a essere evocato come se ci fosse ancora. Per dire cosa direbbe, cosa farebbe, cosa penserebbe e chi caccerebbe se fosse vivo. Nell’ultimo mese avrebbe scritto un post sul blog con uno dei suoi temuti P.s.: “Le cittadine X, Y e Z non rappresentano il M5S perché l’hanno già danneggiato abbastanza con i loro attacchi alla sindaca di Roma. Altri pretendenti?”.
Casaleggio (Davide). È troppo intelligente e schivo per pensare di essere suo padre, infatti dice di volerlo solo ricordare. Ma è pure troppo freddo e pragmatico per ripeterne certi eccessi, infatti mette ai voti fra gl’iscritti il NonStatuto e il Regolamento. Giustamente l’espulsione non può essere l’unica sanzione per comportamenti diversi, compresi quelli che meriterebbero solo una sospensione temporanea. E la possibilità di revoca delle espulsioni apre la strada a una sorta di “grazia” o “amnistia” che va praticata per alcuni espulsi degli ultimi anni.
Raggi. Checché ne scrivano i giornaloni, insufflati però da maligne fonti interne, Grillo e Casaleggio jr. non hanno né “strigliato”, né accolto con “gelo” né intimato alla Raggi “basta impresentabili” (al momento della nomina, nello staff e nella giunta della sindaca non c’erano impresentabili). Anzi le hanno regalato sul palco più visibilità che a Di Maio e Di Battista. Saggia decisione: la Raggi è stata eletta dal 67,2% dei romani per fare il sindaco, e deve farlo con la squadra che sceglie lei. Se fa bene, è merito suo. Se fa male, è colpa sua. Semmai va spronata a comunicare meglio e con più trasparenza. Evitando omissioni anche su fatti spiegabilissimi, come il praticantato col suo prof. Sammarco nello studio Previti, la consulenza all’Asl di Civitavecchia e l’indagine sulla Muraro. E motivando meglio le sue scelte: se si fida di Marra, dica perché; se nomina un assessore, dica come l’ha scelto.
Di Maio. Acciaccato dalla storiaccia della mail della Taverna sulla Muraro indagata, non ha perso consensi perchè ha ammesso l’errore. Ma è impensabile che comunicazioni così importanti avvengano via mail e arrivino solo a pochi che decidono caso per caso. Buona l’idea dei probiviri muniti di un codice etico con la casistica dei possibili scandali (giudiziari e non) e delle decisioni da prendere.
Di Battista. E’ l’unico che esce illeso dal caso Roma. Piace molto alla base e si piace anche di più. Grande catalizzatore e mobilitatore di consensi, deve studiare di più.
Fico, Lombardi e Taverna. Non smettono di ricordare di essere la vecchia guardia, i duri e puri e rischiano di diventare petulanti. Ma, quando non sono d’accordo (come con la Raggi), lo dicono a muso duro, senza giochi sotterranei. Zittirli o punirli sarebbe assurdo: i movimenti si muovono, cioè discutono.
Ruocco. Convinta, a ragione, che Minenna fosse un buon tecnico per l’assessorato al Bilancio, l’ha sponsorizzato con forza. Ma poi Minenna s’è portato dietro la Raineri, che quando se n’è andata per il contratto illegittimo s’è portata via anche Minenna, che s’è portato via i vertici Ama, che al mercato mio padre comprò. E lei ha messo il lutto. Chi, anche in buona fede, ha innescato il tamponamento a catena, dovrebbe astenersi per un po’ dal dare lezioni. Un mesetto di silenzio, almeno.
Pizzarotti. Non ha avvertito il M5S di essere indagato per abuso d’ufficio e meritava un richiamo. Ma ora l’indagine è stata archiviata e il caso Muraro ha evidenziato gravi lacune da colmare nelle regole interne. Il “Pizza” ha governato bene Parma. Con i nuovi regolamenti, merita di uscire dal limbo e di essere reintegrato per ricandidarsi sotto le insegne dei 5Stelle.
Giornalisti. Gli spintoni, gli schiaffoni, i cori “venduto venduto” ai cronisti non fanno onore a chi vuole governare l’Italia, anche se poi dal palco prende le distanze. Il che non esclude affatto che la grande stampa abbia fornito, in questi tre mesi e anche prima, prove indecenti di falsificazione e di linciaggio “a prescindere” contro chi ha il torto di aver vinto le comunali. Anche la Lega, ai suoi inizi, aveva tutte le tv e i giornali contro. Poi li ringraziò.
Uno vale uno. Essendo il “capo”, dunque valendo infinitamente più degli altri messi insieme, Grillo dovrebbe tradurre una volta per tutte questa solfa dell’”uno vale uno”. Se è riferita agli iscritti, è vera. Se è riferita agli eletti, è una fesseria. Ciascuno sa far bene una cosa e non un’altra, e c’è pure chi non sa fare niente. La pretesa che in tv debba andare chiunque “parla di contenuti” come ai mitici “inizi” (quando il M5S stazionava al 10% o precipitava dal 30 al 20) è una scemenza: ci devono andare i pochi che sanno parlare chiaro, gli stessi che ci sono andati finora (Di Battista, Di Maio, Fico, Lezzi e così via). Gli altri, antemarcia o ultimi arrivati, continuino a lavorare in Parlamento e sul territorio. E si preparino per quando dovranno faticare a trovare non un assessore, ma 20 ministri e 40 sottosegretari. Altro che “Uno vale uno”: “Ofelé fa el to mesté”.