Qualcuno, prima o poi, avrebbe dovuto scrivere la versione italiana di Se niente importa, l’oltremodo meritorio libro attraverso il quale Jonathan Safran Foer raccontò nel 2009 le aberrazioni – le crudeltà – che stanno dietro agli allevamenti intensivi e alla produzione della carne. Quel qualcuno è Giulia Innocenzi, autrice dell’ottimo Tritacarne (Rizzoli, pp 219, da giovedì 20 ottobre in libreria). L’autrice è una delle tante divenute vegetariana per colpa – anzi merito – di quel libro. Per la cronaca, è accaduto qualcosa di simile anche a chi vi scrive: ero già vegetariano da otto anni, ma Safran Foer mi diede decisamente il colpo di grazia.
L’inchiesta di Giulia Innocenzi è puntuale, precisa e spietata. L’autrice non cerca proseliti e nemmeno la lacrima facile: insegue la verità. E la verità, quando si parla di animali al macello, è qualcosa di quasi sempre insostenibile. È un libro che fa male, sin dalle prime pagine, quando viene raccontata un’incursione notturna clandestina dell’autrice in uno dei tanti allevamenti-lager di maiali, col rischio concreto di farsi arrestare o – peggio – di farsi sparare dagli allevatori col grilletto facile. Se riuscirete a mangiare ancora pollo dopo queste pagine, dimostrerete senza dubbio di avere lo stomaco foderato di ghisa. La Innocenzi, qui, cita dichiaratamente Safran Foer: “Le carcasse di pollo passano in un enorme vascone d’acqua refrigerata, dove vengono raffreddate anche migliaia di carcasse contemporaneamente. Tom Devine, del Government Accountability Project, ha affermato che ‘l’acqua in questi vasconi è stata giustappunto soprannominata zuppa di feci’ per lo sporco e i batteri che vi navigano. Immergendo nello stesso vascone carcasse sane e pulite insieme a quelle sporche, in pratica stai garantendo la contaminazione incrociata”. Il “benessere animale” andrebbe garantito per legge, e agli allevatori converrebbe pure, perché più un animale vivrà (poco) sano e più la sua carne sarà buona.
Piccolo particolare: “Realizzare concretamente il ‘benessere animale’ costa”. Quindi, quasi sempre: chi se ne frega. In fondo sono solo polli e conigli, no? Esempio: “Gli allevamenti sovraffollati, con i maiali che non riescono a distendersi completamente e costretti a vivere nei loro escrementi e pure a mangiarli, sono comuni. E queste condizioni inducono i suini all’aberrazione più grande: il cannibalismo”.
E magari fosse “solo” questo: “Partiamo da una pratica di cui l’Italia è grande estimatrice: la castrazione. È fatta principalmente per una questione di gusto della carne, e cioè per evitare ‘l’odore di verro’, dovuto a un ormone che i maiali sviluppano in pubertà. I maialini sono afferrati per le zampe a testa in giù e immobilizzati. Un operatore taglia lo scroto del maiale con uno strumento che assomiglia al bisturi che recide i testicoli. È una pratica molto dolorosa, ma se il maialino non ha superato i sette giorni di vita, può essere fatta senza anestesia. Esistono alternative alla castrazione, come per esempio il vaccino che inibisce la formazione dell’ormone che causa l’odore di verro, utilizzato già in 63 Paesi. Solo Italia, Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia non si sono ufficialmente impegnati a mettere fine a questa pratica. Un’indagine compiuta in diversi allevamenti ha mostrato inoltre come gli operatori buttino i materiali organici direttamente nel recinto dei maiali, che poi se li mangiano. Spesso proprio nel recinto della mamma scrofa, che assiste e non può fare niente”. Non è finita: “Per evitare che i suinetti creino ferite ai capezzoli delle scrofe durante l’allattamento, ai cuccioli vengono troncati i denti. La punta dei denti viene rotta con una pinza. Anche questa pratica è permessa senza anestesia, se effettuata entro i primi sette giorni di vita dell’animale”.
Con toni crudi ma mai sensazionalistici, e anzi talora perfino autoironici (come Safran Foer), la “vegana a casa, vegetariana in giro” Giulia Innocenzi firma un encomiabile reportage degli orrori, che svela una volta di più questa terribile galassia di abomini. Le prime vittime sono gli animali e le seconde siamo noi, perché davvero non ci rendiamo conto delle schifezze che mangiamo ogni giorno. Ha scritto Isaac Bashevis Singer, ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento e Premio Nobel per la Letteratura nel 1978: “Ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei, gli umani lo stanno facendo agli animali”. Sembra un’esagerazione. Appunto: sembra.