Avventure fotografiche nel parco del Chobe persi nella natura spettacolare come in un safari dell'ottocento
La ricostruzione è così perfetta, il set così curato che si accetta senza troppi drammi la finzione. Si chiamano safari, si fanno in Africa e sono una riedizione dei safari dei primi esploratori europei dell'Ottocento. Con la differenza che allora si portavano fucili da caccia grossa e si tornava con tremendi trofei che andavano a decorare, si fa per dire, le pareti dei saloni di castelli di campagna, oggi le armi sono macchine fotografiche o telecamere. E i trofei sono immagini elettroniche.
Erano soprattutto inglesi, soprattutto ricchi e soprattutto annoiati dalla solita caccia alla volpe.
Organizzavano viaggi senza badare a spese, assoldavano decine di portatori e non rinunciavano agli agi britannici. Comprese fini biancherie, l’argenteria Sterling o le porcellane Royal Worcester o Wedgwood. I “camps” sono il retaggio della tradizione britannica. Ce ne sono di ogni tipo. Possono essere una magnifica riedizione del passato, quasi un set cinematografico, disegnati da scenografi attenti. Lussuosi cottages grandi come suites d’albergo, costruiti su piattaforme di legno, con un vero tetto, vasca di rame, letti di ferro battuto. E poi grandi padiglioni per gli spazi comuni, terrazze affacciate sulla savana. Tecnicamente tende perché hanno le pareti di tela. E ci sono campi spartani, itineranti, come davvero doveva essere ai primordi. Tende che uno stuolo di “portatori” monta e smonta mentre i “cacciatori” si spostano da un punto all’altro alla ricerca delle “prede”. E così è stato questo viaggio in Botswana. Itinerante, come nell’800 con la sola differenza che nella savana ci si muoveva con le Land Rover. Parco del Chobe, immensa area protetta dove gli animali vivono sereni e non devono più temere nobili inglesi annoiati e armati. Semmai i bracconieri, ma un esercito di rangers li tiene debitamente a bada.
Parco del Chobe, immensa area protetta dove gli animali vivono sereni e non devono più temere nobili inglesi annoiati e armati.
Le tende sono di nylon. Tende rustiche, niente vasca in rame nella toilette, una main house che è un tendone da scout ma tutto sommato un clima più amicale. Eco-turismo, si chiama. Nylon anche di un certo spessore. Ma la prima volta che ci dormi dentro ti chiedi come si fa ad essere sicuri protetti solo da una sottile trama di pochi millimetri con tutti quei leoni, sciacalli, leopardi, iene là fuori che di notte senti ansimare a pochi centimetri da te. Semplice: “perché un leone preferisce una gazzella a del nylon indigesto- ti spiegano- e poi non sa che dentro ci potrebbe qualcosa di commestibile”. La stessa ragione per cui nessuno attacca le Land Rover. E’ un animale strano, la Land Rover. Non fa piccoli (non si sono mai visti cuccioli di Land Rover) e non è buono da mangiare. Nessun erbivoro ne ha paura e nessun carnivoro lo ha mai attaccato. E’ di colore verde scuro, qualche volta color sabbia. Per mimetizzarsi. Grosso, sembra che non abbia le zampe ma si muove sul terreno scivolando come un serpente. Due occhi davanti, niente coda. Sembra che abbia tante piccole teste. Non è un animale pericoloso, perché nella savana non si racconta che abbia fatto male a nessuno. Si muove anche in piccoli branchi, qualche volta da solo.
E’ così che un elefante, e tutti gli altri animali, vedono i fuoristrada con il loro carico di turisti dei safari. Una creatura innocua dalla forma ormai nota da generazioni. Passo lungo debitamente modificato in cui si ricavano più file di sedili disposte su piani diversi perchè tutti possano vedere il panorama. Con una caratteristica preoccupante: sono scoperte. Non sei chiuso dentro una solida carrozzeria, e tra te e i leoni, gli elefanti, i bufali, le iene, i rinoceronti, i leopardi non c’è nulla. Non ce n’è bisogno, ti spiegano pacifiche le guide, perché nessun carnivoro attacca un animale che sa di nafta e probabilmente tra loro, leoni e il resto della fauna, si racconta che qualche leonessa ci ha rimesso zanne e artigli nel tentativo di azzannare un fianco. Così gli strani animali vengono totalmente ignorati. E, da turisti affascinati, si vaga a contatto diretto con una natura meravigliosa tra foreste e savane, da turisti preoccupati tra branchi di leonesse e mandrie di bufali. Basta non scendere a terra. “Nessun pericolo -ti rassicurano le guide- finchè non scendi a terra tu sei quel grosso animale che non fa male a nessuno: a terra sei un strana gazzella. Non odori più di nafta e magari provano ad assaggiarti”. Silenzio, pace, dentro il campo. Fuori il fascino dell’Africa. Niente a che vedere con quella cosa confusa e complicata, di solito macilenta, cioè l’Africa delle città, della gente, che si intravede appena negli aeroporti di arrivo, si attraversa e si sfiora per un momento sul vecchio bus o taxi sgangherato che ti porta a destinazione.