Sentiva la scossa in arrivo come il suo nuovo amico D’Alema, mercoledì scorso, il nostro impareggiabile ministro dell’Economia. Il senso di quell’attacco sferrato a freddo da Giulio Tremonti contro l’Istat (“ma lo sapete come fanno le statistiche? Mille telefonate…”), bissato a stretto giro dal collega Scajola (“dovrebbero dare meno cifre”), si è capito alla perfezione ieri mattina, quando l’Istituto ha reso noto dove è arrivato il rapporto deficit/pil dell’Italia: 9,3% nel primo trimestre 2009, il più alto da sempre.
Tanto per ricordare, quel rapporto che in virtù dei famosi accordi di Maastricht doveva stare sotto il 3% , sotto le amorevoli cure del dottissimo e piissimo Tremonti è arrivato al triplo. Certo, c’è la crisi e il Nostro era tutto intento a prevederla e a spiegarla al papa come ai giornalisti che di tanto in tanto lo intervistano sul Corriere o sul Sole, rapiti dalla sua compiaciuta erudizione.
Ma questo 9,3% è una cifra pazzesca e se la si somma al differenziale tra i nostri titoli di Stato e i Bund tedeschi, che sempre ieri ha sfondato quota 107 punti base, si capisce a che punto è la notte. Solo 15 mesi fa, quando iniziò la crisi dei mutui subprime, quel differenziale era a quota 55 e i grandi commentatori di fatti economici scrivevano che era un dato allarmante, specie per un Paese indebitato come il nostro. Ma eravamo in campagna elettorale e forse gli animi erano un po’ eccitati.
Oggi abbiamo queste due cifre un tantino imbarazzanti, ma il governo se la prende con i numeri e con chi li dà. Manco fossero scatti “rubati” a Villa Certosa. Dovremo trasferire anche l’Istat in Colombia?