Mettiamoci subito d’accordo sul nome: ormai è chiaro che la modernizzazione indefessa della politica prevede rapidi mutamenti. Nei nomi. Il Partito Democratico è superato, forza con Democratic Party che è tutta un’altra cosa. Le parole contano, eccome. Prima lo ha dimostrato la Serracchiani: ha parlato di un gruppo dirigente del Pd da rinnovare, e di un Franceschini “simpatico” intendendo palesemente che l’antipatico era il suo avversario, D’Alema. Lapsus, volevo dire Bersani. E’ stata fatta a pezzi. Poi ha continuato Ignazio Marino, con la storia dello stupratore di Roma coordinatore di un circolo piddino: era proprio il caso di affidarlo a uno con i suoi precedenti (e – pare – con i suoi successivi…)? Questione morale, questione morale. Apriti cielo, tutti contro di lui perché “offende gli iscritti”. E che c’entrano gli iscritti per bene? Perché si dovrebbero offendere? Casomai li offenderà il tentativo maldestro di voler conservare il potere a tutti i costi, senza rendere conto democratico a nessuno. E come si fa a negare una profonda questione morale (la questione penale è altra cosa) che è immediatamente una questione politica all’interno di tutta la partitocrazia o policrazia italiana? Dunque urge un cambiamento profondo. Basta con il PD, forza con il DP, c’è bisogno di un vero party, meglio se non a rischio di stupro.
Dimostrerebbero così per l’ennesima volta di aver mangiato la foglia, il ramo, l’albero, la foresta, ma quella restante dell’Amazzonia. Davvero.
Politica
Il party dello stupratore
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