“Ecoterra” è il nome attribuito ad una recente inchiesta che riguarda il traffico illecito di rifiuti. Personaggio principale un’acciaieria dove le scorie venivano illecitamente utilizzate o miscelate con terreno e rifiuti usati poi come materiale per coperture di discariche esaurite o spacciati come terreno vergine destinato a bonifiche agrarie. Composti che, secondo le autorità, di “eco” avevano ben poco. Infatti, pur non essendo rifiuti pericolosi, tali scorie hanno comunque concentrazioni di metalli come il cromo che non consentono l’utilizzo per bonifiche agrarie. Questo traffico che riguarda migliaia di tonnellate di residui, al momento, vede coinvolti anche due laboratori d’analisi che effettuavano gli accertamenti tecnici sui materiali, falsificando poi, i dati ottenuti e i formulari, tramite analisi “addomesticate”, doppi campioni, doppie bolle di accompagnamento e così via, almeno stando alle conclusioni della Procura. Le indagini si sono svolte anche per mezzo di pedinamenti, riprese video e intercettazioni telefoniche. Queste ultime si sono rivelate fondamentali al fine di conoscere gli attori delle operazioni illecite e controllare gli spostamenti dei materiali in quella che si può tranquillamente definire una “sporca” faccenda di perpetuata violenza e disonestà. Da sottolineare che, con la nuova legge sulle intercettazioni, tutto ciò molto probabilmente sarebbe rimasto sotterraneo e impunito, almeno fino a quando i prodotti agricoli, arrivando sulle tavole degli italiani, non avrebbero mosso i primi sospetti o causato addirittura danni.
Possiamo affermare che si è consumato l’ennesimo scempio ambientale in pieno stile “ecomafioso”, un’attività continuata e articolata. Ma questa volta non stiamo parlando di una regione dell’Italia meridionale, non stiamo parlando di zone ad alto tasso di inquinamento, povertà o industrializzazione, zone cosiddette “problematiche”, come molti si aspetterebbero dopo un simile preambolo. L’inchiesta, infatti, ha visto protagoniste tre regioni italiane del nord: Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Lombardia, confermando come i trafficanti di rifiuti scorazzino al Nord come al Sud per risparmiare i costi del corretto smaltimento, simulando trattamenti, falsificando documenti, compiendo miscelazioni illegali, spacciando sostanze velenose.
L’operazione condotta dal Corpo Forestale dello Stato scatta nelle prime ore della mattina del 15 luglio 2009, una ventina le perquisizioni e tre le misure di custodia cautelare chieste dai pm Alessandra Liverani e Salvatore Ferraro, disposte dal gip Marco La Ganga della Procura di Trento.
In carcere è finito Franco Boccher, 46enne di Borgo Valsugana (TN), titolare di due aziende, la “Boccher srl” e la “Boccher Luciano snc”, che si occupano di trasporto e smaltimento rifiuti. Il 21 luglio il gip Giulio Adilardi ha respinto l’istanza di revoca degli arresti avanzata in precedenza dalla difesa dell’imprenditore, poiché sussisterebbe ancora, secondo il giudice, un concreto pericolo di inquinamento delle prove, pur escludendo il rischio di recidiva. La difesa dell’imprenditore Franco Boccher ha presentato immediatamente ricorso che verrà discusso venerdì prossimo presso il tribunale del riesame.
L’obbligo di firma è stato disposto, in data 15 luglio, a carico di Luciano Boccher, padre dell’arrestato, socio nelle ditte di famiglia. Nella scorsa settimana il gip ha revocato quest’obbligo, successivamente ad un interrogatorio durante il quale Luciano Boccher si è avvalso della facoltà di non rispondere, come aveva fatto anche il figlio la settimana precedente, nei cui confronti invece, resta in piedi la misura cautelare della detenzione in carcere.
Infine agli arresti domiciliari è finito Emilio Spandre, 61enne bresciano, direttore delle Acciaierie Valsugana spa. Proprio mercoledì 29 luglio, il gip Adilardi, ha respinto l’istanza di revoca della misura cautelare presentata dalla difesa per il pericolo di inquinamento delle prove. Anche per Spandre la battaglia legale si sposta ora davanti al tribunale del riesame che discuterà il ricorso del direttore e si troverà a valutare anche quello di Franco Boccher nella stessa giornata.
Per tutti loro l’accusa è violazione delle norme relative al testo unico ambientale 152/2006 e in particolare dell’articolo 260, reato che prevede la reclusione da uno a sei anni e che punisce “chiunque, al fine di conseguire ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.”
Durante le operazioni del 15 luglio, sono stati sottoposti a sequestro quattro siti: due discariche, una di queste comunale, un impianto di recupero e lavorazioni dei rifiuti nella zona artigianale di Borgo Valsaugana e un’area interessata dalla bonifica agraria “De Bellat” presso Spagnolle di Castelnuovo (Trento).
Tutto questo succede in Trentino, dopo che un filone della stessa inchiesta, nel dicembre scorso, aveva portato ad otto ordinanze di custodia cautelare e al sequestro di due aziende per traffico illecito di circa 123mila tonnellate di residui di lavorazione d’acciaierie, cartiere e limi di marmo che finivano, in maniera illecita, in una cava dismessa del Monte Zaccon, in Valsugana.
Ovviamente, oltre alle temibili ricadute negative per quanto riguarda l’occupazione nel territorio della Valsugana, come succede sempre in questi casi di malaffare, a rimetterci sarà inevitabilmente la salute dell’ambiente e dei cittadini.