C’è una norma ben pensata (dal loro punto di vista) nel nuovo decreto sulle intercettazioni: una modifica alle norme di attuazione del codice di procedura penale. Art. 90 bis: il Ministro della Giustizia ogni anno stabilisce lo stanziamento massimo di spesa per le intercettazioni, ripartito per ogni distretto giudiziario. Poi il Procuratore Generale (che è a capo di ogni distretto) lo ripartirà fra le varie procure. Naturalmente i soldi a un certo punto finiranno ma, dice virtuosamente la nuova norma, il Procuratore della Repubblica che ha assoluto bisogno (per “comprovate esigenze investigative”) di continuare le intercettazioni può chiederne altri al Procuratore Generale che glieli potrebbe anche dare. Solo che, dice ancora la legge, in questo caso “si provvede nell’ambito delle risorse previste a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato”. Sembra una norma virtuosa, non è vero? Vediamone la possibile applicazione pratica in alcuni ipotetici scenari.
Scenario numero 1: Procuratore Generale e Procuratori della Repubblica autonomi, indipendenti, onesti e professionalmente capaci. Il Procuratore Generale distribuisce i soldi tra le varie procure in funzione di qualche criterio oggettivo. Io, per esempio, farei un censimento delle indagini in corso nelle procure che dipendono da me, cercherei di capire quante intercettazioni presumibilmente saranno necessarie e distribuirei una parte dei soldi sulla base di queste esigenze; poi ne distribuirei un’altra parte in funzione del numero di processi che ogni procura apre ogni anno (quindi più soldi alle procure grandi e meno a quelle piccole); e poi me ne terrei un po’ per distribuirli in caso di qualche emergenza. Naturalmente questo calcolo se lo fa anche il Ministro al momento della distribuzione dei soldi tra le varie procure generali. Così una prima domanda viene spontanea: che farà il Ministro se in un certo distretto (per esempio, tanti anni fa, in quello di Milano ai tempi di Tangentopoli; oppure, oggi, in quello di Bari dove è in corso l’indagine su Puttanopoli; ma gli esempi possono essere numerosissimi) sono in corso indagini che, diciamo così, non sollevano particolare entusiasmo nella maggioranza, più in generale, nella classe politica? Non è che gli verrà in mente di stringere i cordoni della borsa e di strangolare le indagini? Sia come sia, i soldi ogni anno arrivano. Ma magari arrivano a marzo, forse a ottobre; io lo so come funzionano queste cose, ho passato una vita a combattere per i finanziamenti in materia di informatica giudiziaria; e mi sa che anche in questo settore, soprattutto in questo settore, le cose funzioneranno più o meno nelle stesso modo.
Comunque, diciamo che ogni Procura ha il suo tesoretto e comincia a spenderlo con oculatezza (ho già detto che sto facendo l’esempio di uffici retti da capi autonomi, indipendenti e professionalmente capaci). E qui il Procuratore deve cominciare a pensare a come spendere i soldi. C’è una rapina, si sa già chi l’ha fatta (vi ricordate gli “evidenti” indizi di colpevolezza?) ma si vorrebbe sapere dove sono finiti i soldi; che si fa, si intercetta oppure no? Si comincia a intaccare il tesoretto oppure no? Subito dopo arriva una povera donna vittima di stalking (il nuovo reato di molestie varato dal governo Berlusconi, una buona cosa, va riconosciuto), la massacrano di telefonate e molestie varie. Si intercetta? E quanto si spenderà? Poi arriva il sequestro di persona a scopo di estorsione; e qui, poche storie, si intercetta e come. Solo che, pare incredibile quanto poco durano i soldi, la Procura ne ha sempre meno e siamo solo a marzo, magari ad aprile.
Da quel momento è un’emorragia continua: estorsioni, violenze carnali, rapine, frodi fiscali (eh si, anche quelle, milioni di euro ogni anno, che lo Stato perde e che potrebbero essere recuperati; e senza intercettazioni non si cava un ragno dal buco). Ogni volta si deve decidere: si intercetta oppure no? E magari qualcuno, una signora che è perseguitata dal suo ex, un commerciante che ha avuto la porta del negozio bruciata, la polizia che sta cercando di stroncare un traffico di patenti false, si sente dire: ci dispiace tanto ma dobbiamo fare economia; provate con i buoni vecchi metodi tradizionali. Quali? Beh, lo sapete, pedinamenti, appostamenti, qualche “pentito”. Si ma, signor Procuratore, poliziotti non ce n’è, le macchine sono rotte e poi niente benzina; e poi guardi, signor Procuratore, che quelli ci conoscono tutti e appena ci avviciniamo … E poi lo sa anche lei che ormai di “pentiti” non ce n’è più, hanno fatto delle leggi apposta. Sentite, soldi non ce n’è, arrangiatevi. Ma magari il Procuratore non se la sente di bloccare l’indagine; e così “Va bene, facciamole queste intercettazioni. Però ne facciamo poche”. Che fa ridere solo a dirlo. Comunque vada, si arriva a settembre e i soldi sono finiti. Il Procuratore sta lì con le dita incrociate ed ecco che arriva il nuovo reato: un traffico di droga di grandi dimensioni. E scatta la richiesta alla Procura Generale: mi servono soldi. Forse la Procura Generale ne ha un po’, e glieli dà; ma forse non bastano o forse sono finiti. E quindi la Procura Generale li chiede al Ministro: signor Ministro, abbiamo in corso una delicata indagine per traffico di droga; ci sono “comprovate esigenze investigative” perché … (e qui bisogna raccontare per filo e per segno quello che si è accertato fino ad ora e perché si deve accertare qualcosa d’altro). Ci servono soldi; per piacere …. E probabilmente il Ministro ne manda un po’. Ecco, ma che succede se la nuova indagine che arriva a soldi finiti riguarda una serie di appalti affidati a imprese che pagano mazzette al Sindaco e agli Assessori competenti? E se questi bravi amministratori fanno parte dello stesso partito del Ministro? E magari una parte di quelle mazzette è arrivata proprio al partito in questione? Il Procuratore Generale spiega al Ministro le “comprovate esigenze investigative”. “Sa, signor Ministro, abbiamo accertato che l’assessore Arraffino ha ricevuto un 500.000 euro di mazzette da un paio di imprenditori, Paghetta e Sostenitore. Paghetta ha detto che li ha dati anche al Sindaco, Benedetto Dal Popolo; quindi abbiamo “evidenti indizi di colpevolezza” e vorremmo sapere dove Benedetto ha messo il danaro perché così lo recuperiamo. Sa, si tratta di un milioncino… Solo che non abbiamo più soldi per intercettare; potrebbe mica ….?” Qualcuno pensa che i soldi arriveranno? Magari si, a pensarci bene. Solo che bisogna riempire bene il modulo 13 ter e inoltrarlo all’ufficio XV che, previo parere dell’ufficio XXII, restituirà l’incartamento al gabinetto del Ministro che ordinerà alla ragioneria …. “Ma il modulo 24 bis l’avete riempito? Ah, ma allora ….” Poi, forse, dopo un po’, i soldi arrivano: saranno impiegati per ascoltare Benedetto Dal Popolo che racconterà a tutti quelli che immagina lo ascoltano quanti rigorosi controlli ha disposto per ovviare al malaffare dominante nella pubblica amministrazione. “Certo che facessero tutti come me …..”
Scenario numero 2: Procuratore Generale e/o Procuratori della Repubblica un po’ (tanto) sensibili alle “esigenze” della politica. Rapine, estorsioni, traffico di droga (ma sempre che non ci sia qualche senatore che manda la scorta a comprargliela): certo che si intercetta. Frodi fiscali, corruzioni, insider trading: mica possiamo spenderci tutto a maggio (o a giugno, o a ottobre); e se poi ci capita un sequestro di persona? Così anche il Ministro si vede sollevato da qualche problema. Le norme come questa si chiamano, in gergo giuridico, “norme di chiusura”: tutto quello che non abbiamo previsto esplicitamente lo regoliamo alla fine con una norma generale. Ecco, il nuovo articolo 90 bis delle norme di attuazione al codice di procedura penale è proprio una norma di chiusura: le intercettazioni non si possono più fare perché o non ci sono gli “evidenti indizi di colpevolezza”; o ci sono ma allora le intercettazioni sono inutili; oppure si sono fatte per 60 giorni, non sono servite a niente e non si possono continuare; oppure gli “evidenti indizi di colpevolezza” ci sono ma sono costituti dal risultato di altre intercettazioni e quindi non sono validi per disporne di nuove; oppure … basta andarsi a vedere le precedenti analisi che ho scritto e che sono comparse su “Antefatto“. Però non si sa mai, qualche cosa potrebbe ancora scappare; e in questo caso li prendiamo per fame: niente soldi, niente intercettazioni. Ora, siccome questa cosa dei soldi fa presa sull’opinione pubblica, ancora due parole. Perché sembra giusto: se soldi non ce n’è come si fa? E non possiamo nemmeno spendere somme iperboliche per le intercettazioni; ci sono anche le scuole, gli ospedali, le ferrovie, i partiti … E poi, se capita di dover mettere le mutande a qualche personaggio effigiato in qualche quadro celebre ma un po’ impudico?
Bene, due modeste proposte.
Utilizziamo le somme recuperate con i processi fatti con le intercettazioni per finanziare le intercettazioni dei processi futuri; non solo copriamo le spese ma ci guadagnamo pure. Ah, però, per recuperare soldi, si dovrebbe intercettare in tema di corruzioni, frodi fiscali, peculati, truffe ai danni dello Stato, insider trading e cose così? Mi rendo conto … Allora facciamo così: rinegoziamo le concessioni con i gestori di telefonia. Stabiliamo che l’attività prestata per le intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria non deve essere remunerata. Sembra un principio rivoluzionario ma, per esempio, nessuno paga alle banche le indagini che la magistratura richiede loro: copie di estratti conto, assegni, documentazione varia; e indagini sull’esistenza di conti, fideiussioni, cassette di sicurezza, dossier titoli … Secondo l’ABI, quest’attività costa al sistema bancario 150 milioni di euro all’anno; e, a pensarci bene, le banche gestiscono il loro business in regime privatistico, non sono debitori di una concessione dello Stato. Sicché non si capisce perché loro debbono collaborare gratis con la giustizia e i gestori di telefonia debbono essere (profumatamente) pagati (Oh dio, adesso faranno una legge per stabilire un budget annuale anche per le indagini bancarie!). Questo sistema sarebbe troppo oneroso per i ricchissimi gestori di telefonia? Allora stabiliamo che l’attività prestata per le intercettazioni sia pagata al costo industriale sopportato: almeno questo. Eh già: e poi che cosa ci si dovrà inventare per bloccare le intercettazioni?