Aveva denunciato la sottovalutazione delle pesanti infiltrazioni del clan dei Casalesi a Modena. Per tutta risposta, ha ricevuto due proiettili in busta chiusa. Poi, nel giro di tre mesi, ha perso il posto di dirigente di Confesercenti e di membro della segreteria cittadina del Partito Democratico. Accade anche questo nel 2009 nella grassa Emilia.

Lui si chiama Alberto Crepaldi: 39 anni, altoatesino, vicino all’area prodiana, l’8 marzo sul suo blog aveva esortato le classi dirigenti modenesi a prendere coscienza di quella che l’Antimafia di Napoli definisce una “colonizzazione” della camorra. Il clan immortalato da “Gomorra” di Roberto Saviano, quando si sposta al Nord, riduce al minimo le azioni eclatanti: dopo la gambizzazione, due anni fa a Castelfranco, di un costruttore casertano, “reo” di aver testimoniato contro il boss Raffaele Diana, la squadra mobile e il Rono dei carabinieri di Modena hanno assicurato alla giustizia referenti di zona e gestori del racket e delle bische. Dunque i camorristi hanno adottato la strategia della sommersione per non attirare troppe attenzioni sul riciclaggio e sui profitti nel circuito legale, un fiume carsico che si alimenta con l’inefficacia dei controlli sulle commesse pubbliche e con la rete di relazioni locali. “E’ grave che nei diversi protocolli provinciali contro la crisi non si accenni a questa come opportunità per la mafia”, scriveva Crepaldi sul blog, poi ripreso dalla stampa locale.

Caustico il suo giudizio sull’Osservatorio sugli appalti (“fa mera statistica”) e pressante il suo invito a “mettere sotto la lente i profili societari delle imprese edili per comprendere come la dichiarazione antimafia sia facilmente aggirabile. Nella gestione delle gare pubbliche per lavori stradali non servono burocrati ma professionisti formati: da diversi anni partecipano nel nord e anche nella nostra provincia alcune aziende campane nella cui compagine societaria risultano componenti della stessa famiglia”. Il 9 marzo una telefonata invita Crepaldi a preoccuparsi della sua, di famiglia.

L’indomani, nella sede del Pd, gli viene recapitata una busta con dentro due pallottole. In passato la stessa minaccia era toccata al sindaco di Vignola Roberto Adani e al consigliere regionale Massimo Mezzetti. Ma intorno ad Alberto Crepaldi si crea un isolamento finora sconosciuto, almeno per queste zone. Il direttore generale di Confesercenti, sulla base di una norma deontologica sulle incompatibilità varata il 16 marzo, lo invita a dimettersi dal Pd. Il dirigente esegue, ma ciò non gli evita la sospensione, poi revocata dopo frenetiche mediazioni istituzionali. In giugno però i vertici dell’associazione gli inviano la lettera di licenziamento, ribadendo che il suo articolo non c’entra. “La contestazione – spiega l’avvocato Fabrizio Fiorini, che sosterrà la tesi dell’ingiusta causa davanti al giudice del lavoro – riguarda un invito rivolto al ministro Zaia, e declinato da quest’ultimo, a un’iniziativa curata da Crepaldi senza che il presidente provinciale ne fosse a conoscenza: ma il mio assistito sostiene esattamente il contrario”.

Anche sul fronte politico, Alberto Crepaldi non trova più spazio: la direzione del Pd, nonostante un’importante raccolta di firme a suo favore, decide di non candidarlo alle elezioni amministrative. “Al di là delle formali manifestazioni di solidarietà e della vicinanza umana del sindaco e del presidente della Provincia – conclude lui, amaro – negli attuali vertici modenesi del partito ho avvertito freddezza crescente attorno al mio caso”.

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