Il termine è ancora poco tradotto, forse perché in inglese conserva una qualche aura di eroismo: corporate bond, ovvero le obbligazioni emesse dalle grandi industrie e dalle grandi banche. Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa registrava un fatto importante: l’ammontare di queste obbligazioni ha superato quello dei prestiti. E lanciava un avvertimento parimenti importante: ora c’è “il rischio di una nuova bolla speculativa”. Letto sul giornale della Confindustria faceva un certo effetto, ma la riflessione che vi propongo è un’altra e riguarda la politica del credito. Una politica, appunto, sulla quale si ha diritto a discutere.
L’allocazione dei risparmi è un’attività sostanzialmente libera, nel senso che nessuno di noi è costretto a comprare un’azione della Fiat, un’obbligazione della Basf o un titolo di Stato emesso da Tremonti. Siamo invogliati dall’informazione e dalle banche, ma non costretti.
Gli investimenti però non sono tutti eguali e parlano di noi come il carrello della spesa. Il grosso dei bond viene sottoscritto da “investitori istituzionali”, che sono le banche, i fondi pensione eccetera eccetera.
Allora sarebbe bello essere informati in modo più puntuale e accessibile sulle scelte che fanno Lorsignori, perché ci riguardano e ci parlano di loro.
Sui bond bancari, per esempio, da mesi c’è una notevole effervescenza e un grande silenzio. Poi però scopri che sono sottoscritti in massima parte dalle banche stesse. Insomma, sono le banche che hanno ripreso a prestarsi i soldi l’una con l’altra. Il che è positivo perché significa che hanno ripreso a fidarsi – un minimo – dei rispettivi bilanci (non presto soldi a uno che ha il bilancio falso), ma è anche negativo perché forse la piccola banca farebbe meglio a prestare i soldi ai suoi clienti.
Sui titoli di Stato italiani ci sono tassi molto vantaggiosi nel lungo termine, e si scopre che a comprarli sono le banche italiane, che sostengono i giochi di prestigio tremontiani a mani basse (e anche questo fa capire quanto sia truccata la presunta dialettica Governo-Grandi Banche).
Sui bond aziendali c’è la forse il segnale di una vera ripresa dell’economia mondiale, ma tutti continuano a licenziare e forse per continuare a farlo impunemente è meglio dire che “c’è grossa crisi” (come direbbe Corrado Guzzanti). Non solo, ma è chiaro che più si presta alla Big Corporation e meno si presta alla pmi o al Signor Nessuno.
Insomma, lo scandalo del “credit crunch” è qui, ma i nostri giornali non ce lo spiegano. Al massimo, si tradiscono. Come ha fatto nei giorni scorsi il Sole.