Leggo sulla prima pagina del Giornale che Feltri attacca Dino Boffo direttore di Avvenire, pubblicando una sentenza con l’unico scopo di sputtanarlo: omosessuale e molestatore della moglie del suo amante. Meraviglioso il dispositivo giustificatorio, approntato dall’anziano (per testa, non per età) neo direttore di via Negri. Siccome Avvenire ha attaccato il Cavaliere, noi adesso lo massacriamo, così impara. Sembra di sentire quella canzone in cui Lillo e Greg si fingevano  naziskin all’amatriciana e cantavano con il manganello di plastica in mano: “E noi a Gino lo menamo/ lo menamo lo menamo/ pampà…”. A lui – dice Feltri – rovistare nei fatti personali fa schifo. Però è costretto a farlo purtroppo, poverino.

E’ così fragile questa pallida foglia di fico da moralizzatore-inzaccheratore-castigatore, che pare un brutto scherzo. Invece è tutto vero. Ovviamente, avendo rassegnato da pochi giorni le dimissioni da quel giornale, tiro – se non altro per fatto personale – un sospiro di sollievo. Ma sono, ovviamente, solidale con i miei colleghi rimasti ostaggio della linea mettinculista, e dispiaciuti per il fatto che siano costretti a fronteggiare il cattivismo mannaro del nuovo corso “feltrusconiano” (come lo definisce Dagospia), con licenza di uccidere tutti i nemici del capo, a partire da quei pretacci bolscevichi (i prelati di Ratzinger!) e dei loro giornali che si permettono di difendere gli extracomunitari. C’è qualcosa di surreale, negli articoli del giornale in questi giorni: le telescriventi di De Benedetti del 1991, la sentenza di Boffo per un fatto del 2002… Non è l’Almanacco del giorno dopo, insomma, ma un fenomeno nuovo, il primo quotidiano del secolo prima (Aspettiamo trepidanti nuove rivelazioni sul caso Montesi).

Ma c’è di più. In questa estate, ben due direttori di area di centrodestra hanno lasciato i loro posti, sia pure in modo diverso, perché non hanno sposato questa linea disperata, il Muoia-Sansone-ma-con-tutti-i filistei, il vendetta-tremenda-vendetta, il big stick, il grande bastone da abbattere sulle teste del “nemico”. Come molti sanno, nelle redazioni di questi giornali e delle testate vicine al centrodestra, circola da mesi un mandato particolare che nessuno, per fortuna, ha ancora voluto (o potuto) portare a termine: quello di colpire Ezio Mauro e la sua attuale compagna. Sarebbe la vendetta finale di Papi, quella che fa il paio con la denuncia presentata dal Cavaliere contro le domande (avete letto bene, “le domande”, del quotidiano di piazza Indipendenza). Adesso: per quanto molti antiberlusconiani siano convinti che tutti i giornalisti di destra siano dei prezzolati e dei pennivendoli, non è e non non sarà mai così. Di più: considero una fatto di grande civiltà che molti colleghi – anche molti che sono solidamente su posizioni di centrodestra – non condividano una virgola della campagna occhio-per-occhio di Feltri, perché la considerano aliena ai principi del giornalismo (anche di quello schierato) e sostanzialmente truce. Però attenzione, gli obiettivi originari erano almeno quattro: la Chiesa, l’Opposizione, l’editore progressista e il direttore di piazza Indipendenza. Se nei prossimi giorni non troverete questo articolo sulla moglie di Ezio Mauro sulle pagine del Giornale, dovrete fare un po’ di conto, e capire che se non c’è è per un solo motivo:  perché qualcuno si è rifiutato di scriverlo. Sarebbe molto bello, dopotutto, se l’anziano (di testa, non di anagrafe) cavallerizzo di via Negri, questa, e altre polpette al cianuro, fosse costretto a cucinarsele da solo.
 

P.s. Non avrei mai pensato, un giorno, di trovarmi solidale, sui temi dei diritti dei gay con Dino Boffo e con i Vescovi. E’ una di quelle cose belle che possono accadere nei tempi sbandati.

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