Prima di dare a Feltri ciò che è di Feltri, bisognerà pur dire qualcosa anche su Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Cioè del quotidiano che non ha mai detto una parola contro le leggi vergogna, le corruzioni, i rapporti con la mafia, gli attacchi alla magistratura e alla Costituzione, i conflitti d’interessi del presidente del Consiglio, e s’è svegliato appena appena dal letargo soltanto quando s’è scoperto che il premier aveva una vita sessuale piuttosto intensa e poco compatibili con un partecipante al Family Day, sedicente difensore della famiglia tradizionale di Santa Romana Chiesa. Come se andare a puttane fosse più grave che trescare con stallieri e mazzette. Siccome abbiamo battezzato il nostro nuovo giornale Il Fatto Quotidiano, non possiamo certo ignorare il Fatto emerso dal cosiddetto “scontro fra Feltri e il Vaticano”.
E cioè che il direttore di Avvenire, che s’è fieramente opposto ai diritti per le coppie omosessuali, ha patteggiato a Terni una pena pecuniaria di 516 euro per aver molestato la compagna di un tizio che, secondo quel che risulta dagli atti giudiziari, aveva con lui una relazione omosessuale; e, per ottenere il ritiro della querela, ha pure risarcito con una forte somma la vittima delle molestie. Boffo ha affidato la sua autodifesa al Corriere di ieri, sostenendo che le molestie sarebbero opera non sua, ma di un giovane tossicodipendente che lui aveva “aiutato” prendendolo come suo assistente o qualcosa del genere, giovane che avrebbe usato il suo telefonino per molestare la signora. Il giovane, quando si dice la combinazione, è poi morto di overdose e dunque non può né confermare né smentire la versione di Boffo. Ammesso e non concesso che le cose siano andate così, non si vede perché mai Boffo abbia patteggiato la pena: la responsabilità penale è personale, e dunque nessun giudice l’avrebbe mai condannato per un reato commesso da un altro, sia pure usando il suo telefonino. Ci permettiamo dunque di dubitare della versione di Boffo, visto che lui stesso l’aveva ritenuta così poco credibile da non tentare nemmeno di proporla al giudice in dibattimento, preferendo patteggiare prima di finire in tribunale, cioè dopo il rinvio a giudizio.
Resta da capire perché mai i vescovi italiani, che qualche mese fa avevano ricevuto in forma anonima la sentenza di patteggiamento, non abbiano ritenuto di accertarne la fondatezza e di sostituire il direttore di Avvenire. Non perché Boffo risultasse, dagli atti del processo, un omosessuale, ma per altri due motivi: il suo essere omosessuale non era affatto coerente con le posizioni di Boffo e dei vescovi italiani sugli omosessuali; e un patteggiamento per molestie dovrebbe essere incompatibile con un quotidiano e un’associazione (la Cei) che difende – in questo caso giustamente – i diritti della persona umana.
Se oggi è comprensibile e forse doverosa la solidarietà che i vescovi hanno tributato a Boffo, ieri, quando hanno appreso la notizia del patteggiamento, quella solidarietà è semplicemente incomprensibile e sconcertante. Senza contare che, nel paese dei ricatti e dei ricattatori, sarebbe consigliabile non essere ricattabili (lo dico en passant, ma un anno fa D’Avanzo fece quel che oggi giustamente stigmatizza in Feltri, sbattendo in prima pagina il sottoscritto a proposito di vacanze pagate da un mafioso: con la lievissima differenza che il fatto era falso di sana pianta, come ho potuto documentare per tabulas, mentre il patteggiamento di Boffo è vero).
Che cosa c’è di vergognoso, allora, nello “scoop” del Giornale? Che cosa c’è che non funziona nella posizione di Feltri, il quale sostiene di aver scritto semplicemente la verità?
Tre aspetti. 1) La notizia della condanna di Boffo è vecchia di cinque anni e circolava nelle redazioni da tempo, tanto che era già stata addirittura pubblicata su giornali e siti internet (il blog di Adinolfi anni fa e il settimanale Panorama a giugno). Quando uno riceve una notizia, controlla se è autentica e se ha un interesse pubblico, poi la mette in pagina con il giusto rilievo. Ovviamente la notizia era vera e di interesse pubblico, ma non meritava il titolo principale della prima pagina. Perché pubblicarla (anzi, riciclarla) con quel rilievo e proprio ora? 2) Feltri, con la spudoratezza che gli è propria, l’ha spiegato nell’editoriale di accompagnamento. “La Repubblica da tempo si dedica alla speleologia e scava nel privato del premier (come se la notizia che la moglie del premier lo definisce un malato e lo accusa di andare con le minorenni e quella che il premier è stato cliente di una prostituta poi candidata nelle liste del Pdl alle comunali di bari fossero notizie private, ndr) e l’Avvenire ha messo mano al piccone per recuperare materiale adatto a creare una piattaforma su cui costruire una campagna moralistica contro Silvio Berlusconi… Se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi era abituato a volare alto (Feltri!, ndr), o almeno si sforzava di non perdere quota, è destinato a planare per rispondere agli avversari”.
Prima parola chiave: “avversari”. Feltri confonde gli avversari di Berlusconi con quelli di uno che, fino a prova contraria, dovrebbe essere un giornalista. Dunque smette di essere un giornalista e rivendica il diritto di randellare gli “avversari” del suo padrone. E aggiunge minaccioso: “Cominciamo da Dino Boffo, 57 anni…”. Come sarebbe a dire “Cominciamo”?
L’abbiamo capito l’indomani, quando anche Ezio Mauro, altro “avversario”, ha assaggiato il randello feltriano a proposito delle modalità di acquisto della sua casa (altra notizia stranota, ma debitamente montata, riciclata e sbattuta in prima pagina). Dobbiamo pensare che esiste una lista di “avversari” da colpire uno al giorno, come quella a suo tempo stilata dall’analista del Sismi Pio Pompa (il reclutatore di Renato Farina, in arte Betulla, condannato a pena patteggiata per concorso nel sequestro di Abu Omar, espulso dall’ordine dei giornalisti per essere stato prezzolato dai servizi segreti e dunque eletto deputato nel Pdl e appena rientrato al Giornale al seguito di Feltri), che li additava al premier Berlusconi e proponeva di “neutralizzarli e disarticolarli anche con azioni traumatiche”? Chi ha notizie interessanti e vere le pubblica subito e basta: non le tiene nei cassetti per tirarle fuori quando chi ne è protagonista dà fastidio al suo padrone. 3) L’articolo del Giornale riporta, oltre alla sentenza di patteggiamento, una cosiddetta “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004… ‘Il Boffo – si legge – è stato a suo tempo querelato da una signora di terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione’…”. L’altro giorno D’Avanzo aveva giustamente messo in dubbio l’esistenza di questa “informativa”: sia perché è impensabile che la Polizia di uno Stato democratico “attenzioni”, cioè schedi le persone per i loro orientamenti sessuali; sia perché è assurdo immaginare che un giudice alleghi all’ordinanza di rinvio a giudizio (a carico di un tizio ancora da giudicare in tribunale) una “nota informativa” che racconta il patteggiamento (avvenuto ben dopo il rinvio a giudizio).
Ieri Paolo Foschini, sul Corriere, ha pubblicato quella nota: che non è affatto un documento giudiziario o poliziesco allegato al rinvio a giudizio di Boffo, bensì una lettera anonima giunta a diversi vescovi allegata alla sentenza di Terni. Lettera anonima che il Giornale ha riportato in alcuni passi testuali, spacciandola per “nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del Tribunale di Terni il 9 agosto del 2004”. Un anonimo, che nessuno sa da chi sia stato scritto, nè perché, nè in base a quali informazioni, che il Giornale ha consacrato falsamente con i crismi dell’ufficialità per sputtanare ulteriormente Boffo. Come se non lo fosse già di suo. Ma anche per intimidire tutti gli altri “avversari” del premier, cioè del Giornale. Roba da riabilitare Pecorelli.