Siamo nella lista nera delle Nazioni Unite per come trattiamo i profughi che scappano in mare, sperando. Le parole di Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani, rispettano la forma che il ruolo impone, eppure trapela lo sdegno per il comportamento di un paese che fa parte del G8 e perseguita la disperazione dei migranti in fuga da fame e guerre “abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno sfuggendo a persecuzioni“.
Cinismo dei “respingimenti“ definizione ripescata che inorgoglisce le statistiche dei nostri governanti. Il ministro Maroni se ne vanta appena può. L’ Italia “li lascia affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero affrontando barche cariche di rifiuti pericolosi“. E’ il discorso che pronuncerà oggi aprendo a Ginevra la dodicesima sessione del Consiglio dell’Onu. Navi Pillay viene dalla Nigeria. La disperazione di chi cerca un posto dove respirare senza paura accompagna la sua vita. “La pratica della detenzione degli irregolari, della loro criminalizzazione e dei maltrattamenti nel contesto dei controlli delle frontiere deve cessare“.
I documenti che sta per presentare danno forza all’accusa e accrescono il disagio di Roma. Storie dei deportati in Libia quando il pugno di ferro è cominciato, come promesso alle elezioni. 6 maggio 2009; naufraghi arrestati e rimandati dove si erano imbarcati attraversando deserti, sopportando la spogliazione delle polizie. Povere ragazze dietro i reticolati nelle mani di chi non deve rispondere niente a nessuno. Numeri senza nome. Non possono, come tutti, rassegnarsi al fallimento del ritorno a casa. Passi pietrificati perché Gheddafi non ha mai affrontato il problema dei clandestini sgusciati in Libia attraverso le frontiere dai paesi attorno, e la terra di nessuno dei fuggitivi diventa lo spazio di una sepoltura senza tempo nei lager africani. Fra i respinti dalle nostre polizie, 24 rifugiati eritrei e somali. Bisogna dire che c’è anche un’altra Italia: ong e cooperanti e avvocati come Antonio Giulio Lama. Ha denunciato il governo Berlusconi alla Corte Europea. Tante storie. Perché il Mediterraneo è diventato la tomba di tante cose: di chi non ce la fa, e di chi chiude le porte chiudendo gli occhi. Nel lessico degli italiani ordinati, “irregolare“ vuol dire “rifiuto“: lo scrive Navi Pillay.
Irregolare è la parola che riapre un passato che sembrava lontano: fermava i bambini ebrei davanti alla frontiera svizzera negli anni di Hitler. Madri e padri li spingevano sui treni che dall’Austria correvano verso Zurigo. La Svizzera faceva i conti, conti legittimi nei bilanci delle banche, inaccettabili quando chi bussa è inseguito dalla crudeltà delle dittature. Siamo isolati nel cuore d’ Europa, non c’è pane per tutti, sospiravano a Berna. E i bambini svanivano in chissà quale campo fino a quando la comunità ebraica americana finanzia la sopravvivenza. Finalmente le porte riaprono. Pagine dimenticate. Tornano, questa volta il cinismo parla italiano.
Storia di X, militare eritreo. Ha disertato per non obbedire agli orrori al dittatore Isayas Afework: l’avvocato Lana la raccoglie nelle sue carte per fa capire su quale filo chi scappa prova a camminare. Un anno fa un peschereccio lo salva mentre la barca è alla deriva. Lo riporta a Tripoli: otto mesi nel carcere delle violenze. Prigionieri non considerati come esseri umani. Torture, umiliazioni, giorni senza un piatto di qualcosa e senza acqua. Torna in libertà, ma quale libertà se non può rientrare in Eritrea perché disertore? Riprova il mare, l’Italia sembra lì. Va a sbattere contro le nuove leggi del paese che ha cambiato faccia. Il 5 maggio nuova deriva davanti a Lampedusa e gli italiani lo restituiscono a Gheddafi. Di nuovo in prigione.
Dietro la promesse di Maroni “respingeremo il 100 per cento dei clandestini“ accolte come oracoli della sua gente, si fa largo un sospetto diverso. Isayas, dittatore eritreo che ha fatto sparire nove ministri e ucciso la moglie di una generale appena rientrata dagli Stati Uniti; Isayas che ha espulso, Bandini, ambasciatore italiano troppo curioso sulla scomparsa del governo; Isayas che costretto i carabinieri, caschi blu di pace, a non mettere mai naso fuori dalle caserme tanto da costringerli a tornare in Italia; Isayas ha passato una vacanza a villa Certosa, due giorni di relax per parlare d’affari. L’affare del ricostruire villaggi vacanze a Massau: le belle case degli architetti della colonia italiana, case dichiarate patrimonio dell’umanità, sono state distrutte proprio da un’impresa italiana. E per la ricostruzione non ha voluto cambiare bandiera: Paolo Berlusconi era l’imprenditore perfetto. Insomma, qualche imbarazzo e qualche affare perduto se il povero profugo X, traditore e disertore, testimone imbarazzante, si sistema in Italia dopo che perfino il Sudan lo ha riconosciuto “ perseguitato politico“. Queste cose il commissario delle Nazioni Unite forse non le sa e se le sa e ne parla, non importa: pelle nera e la Lega la tiene in considerazione per quella che é.