Un assalto alla caserma dei carabinieri per liberare il nipote del boss, con una trentina di parenti e amici dispersi solo dall’intervento di rinforzi arrivati dal Comando provinciale e da due comuni limitrofi. Non è accaduto a Casal di Principe ma in un paesino al confine tra Modena e Bologna.

Gianluca Simonetti, 22enne nipote del capoclan ergastolano Luigi Venosa, era stato tratto in arresto a Sant’Agata bolognese per aver pestato assieme a due amici un giovane senegalese all’interno di un bar. Insulti razzisti, una sedia fracassata sulla spalla, colpi di cintura alla testa per una prognosi di 40 giorni. Portato in caserma, Simonetti ha continuato a menar le mani anche sui carabinieri che cercavano di calmarlo, mentre il tam tam fra la folta comunità casertana (in prevalenza Casal di Principe e Casapesenna) portava decine di parenti e amici a circondare la caserma tra insulti e minacce. Solo l’intervento in forze delle gazzelle da San Giovanni, Borgo Panigale e dal comando di Bologna ha permesso di evitare il peggio. I più esagitati sono stati denunciati mentre il Gip ha convalidato l’arresto di Simonetti disponendo la custodia cautelare ai domiciliari nel Casertano.

“Voglio lanciare l’allarme, quello che è accaduto non può passare sotto silenzio” ha affermato il sindaco di Sant’Agata bolognese Daniela Occhiali: ”Spiace che in questi giorni, tranne il quotidiano L’Informazione, nessuno ne abbia parlato”. Una tale esplosione di violenza nei confronti delle forze dell’ordine non ha precedenti in Emilia Romagna ma non deve sorprendere. A dispetto delle sottovalutazioni politiche le indagini delle Dda di Napoli, Palermo e Bologna hanno dimostrato le profonde infiltrazioni delle mafie che adottano la strategia della sommersione per poter riciclare, ottenere appalti e finanziamenti entrando nel circuito legale dell’economia.

Per il Clan dei Casalesi, che in questa zona ha avuto come testa di ponte il boss Luigi Venosa detto “o cocchiere”, di recente condannato all’ergastolo nell’Appello del maxi-processo Spartacus, l’azione eclatante al nord è l’extrema ratio o un errore della testa calda. Mentre le vittime predestinate venivano freddate al ritorno in Campania, nella provincia di Modena, vera succursale del Clan da un ventennio, è rimasta unica la sparatoria del 1991 fra le due fazioni Schiavone e De Falco (la camorra perdente) per il controllo delle bische, dopodiché il dominio delle famiglie di Giuseppe Caterino e Raffaele Diana è stato duraturo e silenzioso.

Ma la vera natura del camorrista talvolta riemerge, nello sprezzo per i “niri”, di fronte a certi intoppi (aggressioni a funzionari pubblici o a sindacalisti che non si foderano gli occhi) o a sgarri da lavare con la Smith&Wesson: tre sanciprianesi due anni fa a Castelfranco Emilia si gambizzarono a vicenda per questioni mai chiarite. L’unica vendetta pianificata a tavolino fu l’agguato del maggio 2007 nel cantiere dell’imprenditore casertano Giuseppe Pagano, ferito alle gambe per aver testimoniato contro il superboss Raffaele Diana. Anche allora ci fu una forte reazione dello Stato, con gli arresti del commando e dei gestori del racket delle estorsioni, ma troppo poco è stato fatto – l’ultimo sequestro di un milione di euro di beni a un prestanome di Vincenzo Zagaria è una goccia nel mare della camorra spa – sul fronte economico finanziario.

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