Conversazione con Giovanna Maggiani Chelli, dell’associazione vittime dei Georgofili.
Il miglior alleato della mafia è il silenzio. La mafia è silenzio. “Non daremo un nome a questa organizzazione, a questa cosa nostra, perché nessuno dovrà sapere”. E da noi, in Italia, l’omertà è sempre stata piuttosto diffusa. Da qualche tempo, invece, si è tornati a parlare di mafia. Non solo: è la mafia stessa che è tornata a parlare. Riina, a proposito della strage di via D’Amelio, ci ha gentilmente informati che “la mafia non c’entra; l’hanno ammazzato loro”. Le pagine della cronaca ci hanno raccontato di un presunto “papello”, con cui cosa nostra avanzava richieste allo Stato per finirla con le bombe. Alcuni esponenti politici in forte imbarazzo per averlo ricevuto ed aver sempre negato. Un tempo la chiamavano “zona grigia”. Adesso, la zona si allarga. Portando con sé un carico di morti e un suono. Terrificante, squarciante: quello di un’esplosione nel cuore della notte fiorentina.
Il 28 maggio 1993, il giorno dopo la strage dei Georgofili, la magnifica Sandra Bonsanti, attuale presidente di Libertà e Giustizia, scrisse su Repubblica: «I più vecchi, quelli che c’erano, ripensano alla guerra. I più giovani ricordano le auto che galleggiavano qua attorno nel ‘66 quando l’Arno impazzì. I giovanissimi sembrano chieder conto agli altri di quanto succede. Ma nessuno sa rispondere alla loro domanda: di chi è la colpa di quanto sta accadendo? C’è chi è ancora giovane eppure è diventato anziano, a forza di cercare di individuare i responsabili».
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Giovanna Maggiani Chelli, tu non sei ancora diventata anziana, ma certo hai dedicato la tua vita a cercare i responsabili della “Guerra di Firenze”. Per anni, anche con interventi e lettere aperte su Informa Firenze, hai reclamato giustizia: non raramente hai toccato temi che solo adesso sembrano salire all’onore della cronaca.
Cosa sta succedendo? Sta cambiando qualcosa?
Perché, sta cambiando qualcosa? Sta cambiando qualcosa? Ho sperato fino al ‘96 che stesse cambiando qualcosa. Fino a quando sono entrata in aula a Firenze per seguire i processi. Ho sperato ancora. Fin tanto che è stato vivo Gabriele Chelazzi, che indagava con tutte le sue forze sui concorrenti della mafia nel reato di strage. Sono io, oggi, che chiedo a te, giornalista: è cambiato qualcosa?
Quindi, dici che è tutto ancora una volta solo facciata?
Rimestano nel torbido. Nulla di più. Gli serve, ancora una volta, per questioni meramente politiche. La politica si ricatta: è più che evidente, altrimenti delle stragi del 1993, dei morti di via dei Georgofili, ne parlerebbero forte e chiaro. Non a mezza bocca, come fa il Presidente del Consiglio, e i politici di destra e di sinistra, direttori di giornali e quant’altro.
Lo scorso 8 settembre, il premier ha detto: «Le procure di Milano e Palermo congiurano contro di me, indagando su vecchi fatti del 1992, 1993 e 1994».
Anche la Procura di Firenze indaga sui fatti del 1993. Si vede che quella Procura non preoccupa. “Congiura” è un termine di cui conosciamo bene il significato. Ad esempio Bruto congiurò contro Cesare. Ma come possono “congiurare” le Procure, a cui sono state tolti unghie e denti? E poi, che congiura? Vuol dire che nelle Procure si è già trovata una verità sulla morte dei nostri parenti, e che non piace?
Non credo, non abbiamo informazioni di questo genere. Non che siano sempre rilevanti le informazioni disponibili su questo genere di indagini.
Neanche noi ne siamo informati. Eppure siamo i diretti interessati, perché i morti nelle stragi del 1993 sono i nostri figli. Noi crediamo invece che dopo anni di stasi, oggi le Procure provano nuovamente ad indagare, pur fra mille difficoltà.
Anche voi dell’associazione dei familiari delle vittime ritenete che ciò che è successo sedici anni fa siano solo “vecchi fatti”?
Il massacro di Firenze non è un fatto vecchio. È un massacro senza una verità completa. Quindi, come non indagare? Se altri sanno qualcosa di più di noi, parlino chiaramente. Noi siamo persone semplici, alle quali hanno ammazzato i figli. Per ora, l’unica colpevolezza l’abbiamo individuata nella politica, sia di destra che di sinistra, nei suoi intrallazzi, nei suoi colpevoli silenzi. Sono gli uomini che sono “uomini vecchi”, non i fatti. Le stragi non invecchiano mai. I politici sono uomini. E invecchiano. Eppure, sono sempre lì. A coprire i fatti “vecchi”, di strage in strage.
Il leader leghista Bossi ha detto che dietro gli ultimi scandali a sfondo sessuale c’è la mafia.
Ciò che ci è successo ci ha resi, nostro malgrado, così seri che vorremmo vedere l’Italia “a posto” sulle stragi. Non su pantomime che non vogliamo neppure considerare. Ma purtroppo, questa pare solo una nostra presunzione: i giornali si vendono di più quando si parla di sesso piuttosto che di stragi. Detto questo, la mafia è sempre pericolosa e il capo della Lega lo sa, come tutti noi. Diceva il grande Gabriele Chelazzi: la mafia è sovrana. Cosa nostra, con la sua trasversalità, la fa da padrona in ogni operazione che conta. Ormai lo abbiamo imparato tutti, addetti e non addetti.
Dell’Utri, braccio destro del premier e senatore, è stato condannato a 9 anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo d’appello è ormai alle porte. Il figlio di Ciancimino parla, e tanto. Spuntano fuori lettere in cui si chiede nientemeno che una tv sempre a disposizione. Spuntano fuori papelli con richieste scritte. Molti protagonisti dell’antimafia dell’epoca soffrono di amnesie quantomai opportune. Per loro. Nel frattempo, dalla Sicilia si ricomincia a parlare di Partito del Sud. Vedi una qualche logica in questo affresco surreale?
Siamo rimasti scandalizzati quando autorevoli ex presidenti hanno detto “io sapevo”. Sapevano ma hanno taciuto, a tempo debito. Ora non sanno dire il perché del loro silenzio. Io non mi intendo di politica. Ne mastico appena. Voglio stare ai fatti, alla realtà tragica dell’Italia e di una politica sempre più dedita agli affari. Ma mi rifaccio anche a ciò che ho sentito nell’aula del Tribunale di Firenze, durante i processi: nessuno ha ancora smentito i 60 collaboratori di giustizia che hanno contribuito a formare la prova penale contro cosa nostra. In quei processi, tutto è stato ricostruito storicamente. Compreso il tentativo di Leoluca Bagarella di costruire “Sicilia Libera”. Progetto poi accantonato. Ma la mafia spesso cambia progetti al cambiare degli eventi. Ciò non toglie che possano riprendere in mano antichi disegni accantonati. Quanto poi a lettere conservate nei cassetti e presunte associazioni mafiose, non posso che essere vicina al lavoro della magistratura, nella quale confido. Se le prove ci sono, spero si possano utilizzare fino in fondo. Ma se non ci sono, io non amo i castelli di carta: me lo ha insegnato Gabriele Chelazzi. Le prove devono essere oggettive, o si finisce per costruire dei martiri. Non è questo il compito dei magistrati.
Tempi sempre più bui.
Si inizia ad avvertire una certa puzza. Quella dell’allungamento della trattativa. Forse, ancora una volta come ai tempi delle stragi, dietro le quinte si sta trattando per cambiare gli assetti del Paese. Speriamo che almeno stavolta, se questo fosse vero, l’accordo non si trovi a suon di bombe e di morti.