“Berlusconi chiede uno o due milioni a chi gli ha fatto le dieci domande. E a noi, che a queste domande vogliamo rispondere figuriamoci cosa ci tocca…” Così scherzava Marco Travaglio qualche giorno fa alla stampa estera, durante la conferenza stampa di presentazione de Il Fatto quotidiano, il nuovo giornale che domani, 23 settembre arriva in edicola. 16 pagine, 6 giorni di uscita, un costo di 1,20 euro a copia, per raccontare i fatti senza il condizionamento di un editore-padrone e una scelta di campo: niente finanziamenti pubblici. Il direttore Antonio Padellaro ad Articolo21: “vogliamo affermare questa regola: se c’è una notizia ed è verificata, fondata, interessante va sempre pubblicata“.
Padellaro, il 23 settembre è arrivato. E da domani in edicola troveremo un nuovo giornale: “Il Fatto quotidiano”. Che giornale sarà?
Un giornale senza appartenenze partitiche, finanziarie, industriali. Una bella scommessa: proviamo a fare un quotidiano che non debba chiedersi ogni volta se il padrone sarà contento o meno di ciò che abbiamo scritto. Vogliamo fare un giornale in cui domandarci semplicemente se il lettore, sarà, più o meno soddisfatto.
In tempi di crisi (anche per l’editoria) sembra una scommessa un po’ azzardata. Potevamo fermarci alla sola idea del giornale se non ne avessimo avuta subito un’altra: cercare i lettori prima della pubblicazione. La cifra me l’hanno appena consegnata: siamo a 27mila “pre-lettori”. 27mila persone che si sono abbonate per un anno prima dell’uscita del giornale. E con questa dote riusciremo ad andare avanti con sicurezza per almeno un anno. E il giornale deve ancora uscire e andare in edicola… Mi sembra già un’ottima premessa: abbiamo ampiamente dimostrato che non era l’idea di quattro amici al bar. Ora però dobbiamo realizzarla adeguatamente: abbiamo una grande responsabilità con i nostri lettori.
Ma con un altro giornale non si rischia un sovraffollamento?
Perché? Se ci sono varie voci significa che ci sono molte cose da dire. Noi non abbiamo un pensiero politico da affermare bensì un’informazione da dare. E opinioni da esprimere.
D’accordo, ma nella vasta area del centro sinistra a dare notizie ed esprimere opinioni ci sono già Repubblica, l’Unità, Il Manifesto, Liberazione, Europa, L’Altro, il Riformista… Nessuna paura di una sovrapposizione?
Innanzitutto non siamo un giornale di sinistra. Per carità, non c’è niente di male ad esserlo. Figuriamoci, è da esperienze di giornali di sinistra che molti di noi provengono. Orgogliosamente. Ma noi non vogliamo essere “organo di”. Pensiamo a un quotidiano che debba essere apprezzato dai lettori, non dai militanti di partito o dai funzionari di una nomenclatura.
Darete priorità ai “fatti”. Gli altri quotidiani non lo fanno abbastanza?
Premesso che non intendiamo dare lezioni di giornalismo ad alcuno, noi cercheremo di fare solo il nostro mestiere provando a raccontare meglio cose che adesso rimangono un po’ in superficie o che possono sfuggire ad altri giornali. Giornali non giornalisti… Perché i giornalisti italiani sono bravi e le notizie le trovano. Il problema è che spesso i loro giornali non le pubblicano… Noi vorremmo affermare questa regola: se c’è una notizia ed è verificata, fondata, interessante va sempre pubblicata.
E quale sarà il vostro approccio con i temi del giorno? Avrete un taglio diverso? Pensiamo alla vicenda dei militari morti in Afghanistan: come avreste titolato all’indomani della strage?
Abbiamo fatto alcuni “numeri zero”, in uno di essi il titolo era “Sono morti ma non si sa perché”. Il punto non è se ci si debba ritirare o restare, ma se la missione abbia ancora un senso. La verità è che nessuno sa più spiegare che cosa ci stanno a fare lì le forze della coalizione. La missione era partita l’11 settembre per distruggere i santuari del terrorismo. E mi sembra che i santuari non siano stati neppure trovati. Magari non c’erano proprio… So solo che Bin Laden continua a lanciare i suoi proclami e il mullah Omar è più in forma che mai sulla sua motocicletta.
Si è detto che siamo andati là ad esportare la democrazia.
Siamo sicuri che gli afghani amino la nostra democrazia? Avrei qualche dubbio…
E allora che stiamo a fare là?
Forse qualcosa di importante la facciamo. Ma è proprio qui il punto: dal momento che giovani vite umane sono quotidianamente a rischio e finiscono per essere stroncate è fondamentale sapere “cosa”, per quanto tempo e con quale obiettivo.
Lo stesso Obama sembra abbastanza perplesso.
Certo perché, ripeto, sono in molti a domandarsi: questi ragazzi sono morti ma perché? Forse anche le famiglie vorrebbero saperlo. Per noi si tratta di capire le cose non di prendere posizioni. A me personalmente non piacciono né le dichiarazioni muscolari di tanti esponenti di governo del tipo “non ce ne andremo, non ci piegheranno” nè quel tipo pacifismo di maniera, pregiudiziale che agita la parola pace come fosse una banderuola. Noi pensiamo che l’esigenza principale sia quella di capire di più e forse, se fosse stato chiaro in partenza l’obiettivo della missione, la vita di quei soldati non sarebbe stata bruciata invano.
Sapete già che con voi si allungherà la lista dei “farabutti?”
Beh, questo non ci sorprenderebbe, e non ci spaventa. Quando ero condirettore e poi direttore dell’Unità gli insulti erano ancora peggiori. Ci avevano accusati di fare un giornale “omicidiario”, uno strumento che incitava all’assassinio dell’avversario politico. “Farabutti” è quasi un complimento…
Siamo diventati ossessionati da Berlusconi o hanno ragione all’estero a preoccuparsi per la nostra situazione?
Io non penso che i quotidiani stranieri ci trovino gusto nell’accendere i riflettori sulla situazione italiana. Penso invece che in nessun altro grande Paese dell’Europa sia ammissibile che un signore possa fare il bello e il cattivo tempo, insultare tutto e tutti, usare i giornali come manganelli e le tv per occultare le notizie, chiedere danni miliardari che possono far chiudere i i giornali se condannati. Siamo in una condizione da terzo mondo, e anche peggio. Dominati da un capotribù, uno stregone del villaggio che decide della vita e della morte dei giornali dell’informazione.
E’ a rischio la libertà di stampa in Italia?
La libertà esiste ma sulla carta. A meno che non sia normale che un direttore del primo tg del servizio pubblico una sera affermi di non voler dare alcune notizie perchè secondo lui sono solo “pettegolezzi”. Mentre quelle notizie fanno il giro dei telegiornali del mondo. Ma attenzione: ce la prendiamo con i direttori ma dovremmo farlo anche con tanti colleghi che dovrebbero darci spiegazione del loro silenzio di fronte alle notizie che non si danno. Interroghiamoci quindi anche sul modo in cui facciamo questo mestiere.
La manifestazione sulla libertà di informazione si farà sabato 3 ottobre a Roma. Tu ci sarai?
Certamente sì!