“Ho pensato che le ragazze e la coca fossero una chiave d’accesso per il successo nella società”. Le ragazze e la coca. D’accordo: è il verbale d’interrogatorio di Gianpaolo Tarantini (“imprenditore” attivo in entrambi i rami commerciali), non proprio un maître à penser. Il rumore delle parole di Tarantini è quello del gessetto sulla lavagna. Molte donne, in questi mesi di pornografico elogio delle più anatomiche tra le virtù muliebri, avvertono fastidio. E non soltanto all’orecchio.
Il mestiere più vecchio del mondo. Almeno le etère (escort dell’antichità ellenica) erano colte e quelle del boudoir non erano le uniche arti di cui avevano conoscenza. Fare spallucce, magari ricordando il “così fan tutti/e” naturalmente non ha alcun senso. Se il cammino dell’uomo non porta a un’evoluzione, che progresso è? Dal 1946, anno della (gentile) concessione del voto a oggi, le donne italiane hanno conquistato libertà, indipendenza, istruzione, emancipazione. Restano legacci dai quali liberarsi? Un esempio per tutti: l’obbligatorietà della bellezza, anche senza voler resuscitare vecchi slogan e forme di lotta che non hanno più significato (vedi alla voce bruciare confortevoli ed eleganti reggiseni). Konrad Lorenz “dimostrò” che anche i pesci rossi hanno il sentimento della bellezza: vuol dire che c’è qualcosa di animale. La legge di natura però si fa sempre più spietata: non sei, se non sei bella. E non sei mai abbastanza bella: l’estetica di plastica impone canoni quasi inarrivabili (se non per via chirurgica). Così il nostro corpo non è la forma esterna del nostro essere, ma solo un oggetto condannato all’inadeguatezza.
Il disagio che le donne italiane oggi provano davanti alla rappresentazione di sé deve portarci qualcosa di più che una riflessione. Invece non c’è stata un presa di coscienza collettiva da parte del “secondo sesso” (come Simone de Beauvoir lo definì in un suo famoso saggio). Qualcuno ne ha scritto, certo. Soprattutto fuori dell’Italia. Ma comunque non basta. Il rischio di tornare indietro anni luce e scivolare di nuovo nel precipizio della subordinazione è tanto più alto quanto più ne siamo inconsapevoli. Gli scienziati ci dicono che il Dna ha una memoria lunga, di molte generazioni: nelle ventenni di oggi c’è ancora una nonna a cui veniva detto “taci” e chiesto solo di esistere nella relazione con uomini di cui era madre, sorella, moglie. Senza contare la complessità e la fatica del ruolo. Desiderare una famiglia non può escludere la realizzazione di sé. Che abbiamo studiato a fare, se l’ambizione massima è avere forme compatibili con la bella presenza per sfondare il piccolo schermo? E poi: quell’organo che disgraziatamente diede il nome all’isteria, come può avere cittadinanza nelle nostre vite e nei nostri desideri? Maternità fa tristemente rima con difficoltà. La quotidiana fatica di essere dieci cose in una non deve diventare un alibi: la metaforica pacca sul culo che tutti i giorni ci tocca subire non è galanteria.
Un gioco sul web fa impazzire le ragazzine, si chiama MissBimbo. Funziona così: la fanciulla accede ai vari livelli quanto più ha successo. Se ha un boyfriend ricco, una casa lussuosa, un cospicuo conto in banca. Obiettivi che si raggiungono comprando bei vestiti, frequentando locali esclusivi, andando dal parrucchiere e dal chirurgo estetico, prendendo pillole che fanno dimagrire. La cocaina non c’è. Ma davvero manca solo quella: tra il passatempo preferito di una qualunque quattordicenne dotata di accesso a Internet e l’interrogatorio di un signore che chiamiamo imprenditore e invece sfrutta le ragazze, che differenza c’è Vietato non rispondere.
di Silvia Truzzi (da Il Fatto Quotidiano n°5 del 27 settembre 2009)
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