Il Pm Greco spiega perché gli italiani sottovalutano la criminalità economica, come l’evasione.
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento tenuto sabato sera da Francesco Greco, procuratore aggiunto e coordinatore del pool “criminalità economica” della Procura di Milano, al Festival del Diritto organizzato a Piacenza dall’editore Laterza. L’incontro, dal titolo “Beni pubblici, interessi privati”, era una conversazione con Luigi Ferrarella, inviato del “Corriere della Sera”.
Abbiamo assistito nell’ultimo anno e mezzo a una forma di neo-interventismo degli Stati, i quali sostanzialmente si sono assunti le perdite della crisi finanziaria con impressionanti aiuti al sistema bancario internazionale. Un aiuto di Stato praticamente a fondo perduto, perché in cambio non sono state chieste nuove regole. L’unico problema che hanno avvertito all’ultimo vertice del G20 è stato quello di bloccare i bonus ai manager: come se questa fosse la regola fondamentale per riparare ai guasti dell’economia finanziaria. Una cosa paradossale. Ma in Italia i cittadini non hanno alcuna percezione dei danni provocati dalla criminalità economica. Ci siamo quasi assuefatti. Ciascun cittadino italiano paga ogni anno quella che io chiamo la “Tassa di Tangentopoli”. L’enorme esplosione del debito pubblico dall’inizio alla fine degli anni 80 implica che, in ogni legge finanziaria, decine di miliardi di euro se ne vanno a pagare gli interessi passivi: tutte risorse sottratte allo sviluppo del Paese. La Tassa Tangentopoli – che non era solo spesa impazzita, corruzione e malversazione del denaro pubblico, ma anche permissivismo fiscale, clientelismo, pensioni baby e invalidità fasulle – stiamo continuando a pagarla, poi toccherà ai nostri figli e ai figli dei nostri figli. Di questo non abbiamo percezione.
Questo atteggiamento dei cittadini deriva da quello dei media a proposito dei problemi della criminalità economica: si semina grande allarme sociale sulla criminalità di strada, sui reati contro la persona e il patrimonio, e si diffonde il giustificazionismo nei confronti della criminalità economica. Si sente dire: “Sì, vabbè, quello ha portato i soldi all’estero perché le tasse erano troppo alte…”. Nessuno dice mai: “Sì, vabbè, ha scippato la borsa a quella vecchietta perchè aveva fame”. Per i reati della criminalità economica c’è sempre una scusa buona, forse per giustificare gli aiuti che lo Stato da sempre assicura alle imprese private e alle corporazioni (…).
Rispetto agli altri paesi, noi abbiamo alcune peculiarità: siamo un paese off-shore. Chi altro paese assicura l’impunità fiscale che l’Italia garantisce agli evasori? Quale paese in Europa ha un sistema bancario meno trasparente del nostro? Se apro un conto in Svizzera o nel Liechtenstein, sono obbligato a indicarne il beneficiario economico; in Italia no, posso aprire un conto con una società off-shore, nominare un procuratore svizzero e nessuno, banchiere né bancario, mi verrà mai a chiedere chi è l’effettivo proprietario di quel conto. Non solo: siamo l’unico grande paese d’Europa che non ha ancora adottato una normativa contro l’autoriciclaggio. In più abbiamo sostanzialmente depenalizzato il falso in bilancio e smantellato l’intero comparto dei reati societari, che ora sono perseguibili solo a querela.
All’origine della crisi finanziaria ci sono anche dei fattori criminali: l’economia fuori bilancio, tutta spostata alle Cayman e dintorni; e l’uso intensivo di veicoli anonimi, i “cervelli morti” di cui parlano gli auditing interni delle banche.
Domandiamoci: che cos’è una banca? qual è la sua funzione? Sino alla fine degli anni 80 l’abbiamo considerata alla stregua di un “incaricato di pubblico servizio”. Poi una serie di sentenze della Corte costituzionale stabilirono che la banca è un organismo privato come gli altri. Ma c’è pur sempre l’articolo 47 della Costituzione: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito…”. Le banche, diversamente dalle imprese, non amministrano soldi propri, ma altrui. Il nostro governo ha affidato ai prefetti una funzione di controllo sul credito: emblematico e sintomatico di una concezione “pubblica” del ruolo delle banche. Dunque si può tornare a concepire anche giuridicamente le banche come incaricati di pubblico servizio. Con tutte le conseguenze giuridiche del caso.
Oggi in Italia, dal punto di vista repressivo, l’armamentario giuridico dei reati che si possono azionare nei confronti del banchiere o del bancario che ruba (e i processi degli ultimi anni dimostrano che nelle banche si ruba parecchio) è ridicolo. A un banchiere che ha rubato milioni di euro alla sua banca, anche prelevandoli dalle casse dell’istituto o direttamente dai conti dei clienti, noi abbiamo dovuto contestare l’appropriazione indebita, con prescrizione assicurata, a meno che non sia così gentile da patteggiare subito restituendo un po’ di soldi. E poi mi vengono a parlare del caso Madoff e di quanto sono bravi gli americani che gli hanno affibbiato 150 anni. Beati loro! Noi non lo possiamo fare. Da noi, nella sostanza, non c’è contrasto alla criminalità economica.
Idem per l’evasione fiscale. La riforma del centrosinistra – perchè qui tutti pari sono – dei reati tributari è una cosa ridicola. Per l’evasore totale, cioè ignoto al fisco, la pena massima è tre anni; per chi fa fatture false, dunque evade in parte ma è noto al fisco, la pena massima è sei anni. Ma non c’è proporzione: allora conviene essere ignoti al fisco, in Italia, piuttosto che arrabattarsi a nascondere qualcosa con le fatture false. È sistema schizofrenico, oppure voluto… Ora arriva un altro “scudo fiscale”, l’ennesimo condono. Mentre sbarriamo le frontiere agli immigrati clandestini, le spalanchiamo ai capitali clandestini. Anonimi e impuniti. Libera circolazione dei soldi, anche sporchi, ma non delle persone. Lasciamo pure perdere il giudizio etico sullo scudo: come al solito i furbetti la fanno franca, e da noi i furbetti sono tanti, basta vedere le cifre dei capitali accumulati all’estero.
Se chi li detiene pagasse le tasse dovute su quegli enormi capitali, roba da centinaia di miliardi di euro, ogni italiano avrebbe diritto a una scuola stupenda per i figli e a una vacanza gratis ogni anno ai Tropici, in più non avremmo il buco dello Stato e magari potremmo pure andare tutti in pensione un po’ prima. L’ultima volta che si fece il condono fiscale, la Banca d’Italia calcolò che all’estero fossero nascosti 700 mila miliardi di lire, di cui stimò che ne sarebbero rientrati 200. Ora non conosco i calcoli aggiornati, ma quel che dà fastidio è che si sa che ci sono questi soldi. E allora perché nessuno va mai a scovarli? A me interessa che l’evasione venga combattuta perchè è la cosa più antidemocratica che esista. In passato c’era chi proponeva di togliere l’elettorato attivo agli evasori: chi non paga le tasse non può votare. Chi vota senza pagare le tasse decide come lo Stato userà i soldi delle tasse pagate dagli altri. Non occorre molta fantasia sulle nuove regole da approvare subito in Italia: ripristinare il falso in bilancio come reato perseguibile d’ufficio; riformare i reati fiscali e la normativa anti-riciclaggio (oggi applicata perlopiù a qualche carrozzeria di periferia che tarocca le auto rubate), inserire l’autoriciclaggio e ammodernare il sistema fiscale, a partire da commissioni tributarie che funzionano poco e male. Solo dopo si potrà giustificare uno scudo fiscale. Ma non certo questo scudo senza regole, questa impunità totale in cambio di niente.
Se oggi apro un’inchiesta su un caso di corruzione internazionale e mi trovo cinque conti bancari in paradisi off-shore, so che impiegherò almeno tre anni per avere risposta alle rogatorie. Poi dovrò finire le indagini e affrontare tre, anzi quattro gradi di giudizio (c’è pure l’udienza preliminare). Ricordo che la prescrizione decorre non da quando ho scoperto il reato, ma da quando il reato è stato commesso. Dunque è garantita. La domanda è: ma chi fa queste leggi, perché non abolisce direttamente tutti i reati dei colletti bianchi? Perché, se la corruzione e i reati di criminalità economica hanno la prescrizione garantita, ci fanno perdere tempo con le indagini e i processi? A Milano abbiamo indagini su alcuni gruppi che nascondevano fondi neri per miliardi di euro e che hanno pagato tangenti in quasi tutti i paesi del mondo. Ho detto ai colleghi: i fatti risalgono al 2003 – 2004, oggi siamo nel 2009, anche se il processo iniziasse subito sarebbe destinato a morire e questi gruppi che hanno corrotto tutto il mondo la faranno franca. Fare quei processi significa inoltrare non meno di 250 rogatorie e intanto la prescrizione seguiterà a galoppare; eppure l’inerzia non dipende da noi, ma dalle procedure dei paesi off-shore che hanno tutto l’interesse a non rispondere o ritardare o a darla incompleta, come spesso fanno. Qualche tempo fa c’erano addirittura un paio di paesi off-shore che si facevano pubblicità sulla stampa internazionale, precisando: “Noi non diamo assistenza alle autorità giudiziarie, in particolare a quella di Milano”. Bellissime isole, peraltro…
Audio: (Scarica qui la versione integrale in mp3 dell’intervento)
Disegno: di Manolo Fucecchi