In un film di Woody Allen, Harry a pezzi c’è un regista che non riesce a capire come mai l’attore inquadrato in macchina risulti sempre sfuocato. Ma è l’attore che non funziona non la cinepresa. La stessa immagine sbiadita e fuori sincrono la sta dando di sé il Pd. Lo scriviamo con sincera preoccupazione: parliamo del partito che si propone come principale alternativa al regime di Berlusconi. Il quale, infatti, con arrogante sicumera può dire: saremo qui per sempre.
Il Fatto seguirà con attenzione le vicende congressuali, e non, del Pd I lettori ce lo chiedono. Quelli che lo hanno votato e non lo votano più. E quelli che non lo votano più ma vorrebbero avere un buon motivo per tornare a votarlo. Complessivamente questo popolo di delusi conta quattro milioni di persone. Sono stati definiti gli ex voto, un popolo enorme di cui però nel dibattito congressuale ci si occupa poco o niente. Eppure, quelle persone recuperate e rimotivate potrebbero di nuovo far pendere la bilancia dalla parte del centrosinistra.
Altre cose non vanno. Il Pd ci sembra incartato in un dibattito tutto interno, fatto di molto politichese e di poche questioni concrete. A cominciare dalle misure di sostegno per aiutare le 580mila persone che hanno perso il lavoro nel primo semestre dell’anno.
Chi saprebbe dire in parole semplici quali sono le differenze di programma tra Bersani e Franceschini? Su laicità e diritti Marino ha certamente un profilo più netto: ma non riesce a schiodarsi dal ruolo di terzo incomodo. E poi c’è il problema, non soltanto al Sud, del tesseramento gonfiato. Ma, soprattutto, il Pd appare come un partito dove una base appassionata – pensiamo alle migliaia di volontari delle Feste – non riesce a farsi ascoltare dalla nomenclatura. Un grande partito, dunque ma anche un partito senza. Che fa opposizione in parlamento ma senza l’energia necessaria e quasi sempre con toni impercettibili. Chi si ricorda una frase o una iniziativa sull’assalto alla Rai da parte dei berluscones? O sullo scandalo dello scudo fiscale agli evasori? Amici del Pd, il rischio di tenere i toni bassi è che alla fine non vi ascolti più nessuno.
da Il Fatto Quotidiano n°6 del 29 settembre 2009