Signor ministro, leggo (o meglio, mi hanno segnalato di leggere) su Il Giornale di famiglia del presidente del Consiglio che sabato scorso, alla sedicente Festa della Libertà organizzata dall’altrettanto sedicente Popolo della Libertà al Palalido di Milano, moderata (si fa per dire) dal condirettore dello stesso giornale, lei ha tuonato contro «l’intolleranza antisemita del superfluo matematico Piergiorgio Odi-freddi, ex docente baby pensionato», che ha osato restituire il Premio Peano «quest’anno assegnato a Giorgio Israel, ai suoi occhi colpevole di sionismo, ma soprattutto di essere consulente del ministro».

Lei ha poi continuato, con stile e in punta di fioretto, dicendo che «gli imbecilli non mancano mai», e che «le parole di Odifreddi denotano razzismo, incapacità al confronto e stupidità». E ha terminato allargando il discorso, assimilando il mio gesto alla «modalità tipica della nostra sinistra, quella di combattere il governo e Silvio Berlusconi a qualunque prezzo, a costo di insultare allo stesso tempo la maggioranza dei cittadini che lo votano». Mi permetta di rispondere nel merito alle accuse che mi rivolge, fingendo che esse siano in buona fede e dettate dall’ignoranza dei fatti. Naturalmente non posso dir nulla sulla mia imbecillità e stupidità, e mi fido del suo giudizio: in fondo, lei è un valente avvocato che ha superato una difficile abilitazione a Reggio Calabria, dopo una laurea nella vicina Brescia e un precedente passaggio da un liceo pubblico a uno privato, mentre io sono soltanto un modesto docente universitario che ha vinto facili concorsi da assistente, associato e ordinario nell’Università pre-Gelmini, ed è poi andato in pensione dopo 38 anni e mezzo di servizio (e non dopo una sola legislatura in Parlamento).

Ma non sono questi i motivi per cui io ritengo che la collaborazione con lei si configuri come una colpa, nè penso affatto che il governo di cui lei fa parte sia da combattere a qualunque prezzo: riconosco anzi, benchè dispiaciuto e vergognato, che Silvio Berlusconi abbia ricevuto una forte maggioranza e sia dunque democraticamente in diritto di governare il paese. Addirittura, pensi un po’, vorrei che a farlo cadere fosse un giudizio elettorale sul suo operato politico, e non una campagna giornalistica sulle sue scopate con le escort: soprattutto quando questa campagna è spalleggiata dall’Avvenire, che ha usato ben altri pesi e misure per la pedofilia ecclesiastica e per la sua copertura da parte dell’allora cardinal Ratzinger. Il mio problema è proprio lei, signor ministro. E non tanto, o non solo, perchè ricopre una carica per la quale non ha la minima competenza, ma anzitutto e soprattutto per le innominabili motivazioni che hanno portato lei e la sua collega Mara Carfagna alla carica che ricoprite. Come vede, gli elettori che votano il suo partito o la sua coalizione non c’entrano proprio nulla, perchè non hanno eletto i ministri: c’entra invece la necessità etica di non collaborare con chi costituisce, nella Roma di oggi, l’analogo dei cavalli-senatori di Caligola nella Roma di ieri. Il professor Israel è naturalmente liberissimo di pensarla diversamente, ma lo sono anch’io di dissentire, e di non voler condividere con lui l’albo d’oro di un premio.

Se questa mia dissociazione vi turba, è perchè non conoscete nè la democrazia nè la storia, anche scientifica. Ad esempio, quando negli anni del maccartismo Edward Teller collaborò con la commissione governativa che revocò l’autorizzazione di sicurezza nucleare a Robert Oppenheimer, la quasi totalità dei colleghi si dissociò da lui e gli tolse il saluto, ostracizzandolo della comunità dei fisici: in quell’occasione avreste attaccato pure loro, come ora attaccate me? La domanda è retorica, ma l’esempio non è campato in aria: Teller era infatti uno scienziato guerrafondaio e iperconservatore, della stessa pasta del Von Neumann al quale Israel ha dedicato la compiacente biografia che ha appunto ricevuto il Premio Peano.

Ma ci sono altri motivi per dissociarsi da lui, oltre a quelli già accennati. Perchè, come ho detto espressamente nella mia lettera di rinuncia al premio, «le posizioni espresse da Israel in ambito politico, culturale e accademico sul suo blog, sul sito Informazione Corretta e in ripetuti interventi su Il Foglio e Il Giornale trascendono i limiti della normale dialettica, e si configurano come un pensiero fondamentalista col quale non intendo essere associato intellettualmente».

Capisco ovviamente che quei due giornali, insieme a Libero e all’ala destra del Corriere, si siano sentiti chiamati in causa e abbiano immediatamente fatto quadrato intorno a Israel e contro di me. Ma mi sembra singolare che proprio da loro, e da lei, vengano accuse di razzismo e di intolleranza: non siete forse voi, la vostra coalizione e il vostro governo, a fomentare l’odio nei confronti degli immigrati in generale, e degli islamici in particolare, con parole e azioni ben più violente della democratica e innocua restituzione di un premio al mittente?

Capisco anche, ma non accetto di giocarlo con voi, il subdolo gioco dell’equiparazione della critica a un ebreo come Israel, a un sito sionista come Informazione corretta, o a un governo israeliano come quello di Netanyau, con l’antisemitismo. E non lo accetto proprio perchè non sono razzista, e dunque non giudico a priori in base alla «razza» (ammesso che la parola abbia senso), ma a posteriori in base ai fatti: i razzisti veri sono altri, e cioè coloro per i quali tutti gli ebrei sono democratici, e tutti gli islamici fondamentalisti.

E invece ci sono ebrei fondamentalisti e islamici democratici : negarlo significa fare di ogni erba un fascio, e a me i fasci non piacciono, di qualunque «razza» siano. Mi piacciono invece molti ebrei democratici, da Amos Luzzatto a Moni Ovadia a Noam Chomsky, dei quali sono amico, e sto benissimo anche con ebrei ortodossi come il premio Nobel per l’economia Robert Aumann. Sono i fondamentalisti che non mi piacciono, e se questo significa non essere simpatico a certa gente, compresa lei, sopravviverò bene ugualmente. Anzi, molto meglio che se fossi simpatico a loro e a lei.

di Piergiorgio Odifreddi (da Il Fatto Quotidiano 1 ottobre 2009)

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