Ma sì, parliamo del Pd, il partito “che non proietta l’ombra” per manifesta inconsistenza identitaria mentre siamo costretti dalla realtà illegal-precipitosa a parlare ogni giorno del soi dicent Re Sole e della sua corte. Parliamo di un partito “mai nato” parafrasando il fallaciano Rutelli da venticinque anni in sala parto della partitocrazia italiana a fianco della “Morgue” della politica, mentre il mondo ci dice della immane tragedia indonesiana, dei 40 morti di cancro a Praia a Mare per aver respirato coloranti in una fabbrica tessile secondo la Procura di Paola, della richiesta del pm di 13 anni per Pollari per il sequestro Abu Omar di cui lo stesso Rutelli parla assai meno volentieri…Per dire che se volesse il Pd di cose di cui occuparsi nella realtà dura e cruda contemporanea ne avrebbe eccome, in un bisogno estremo di idee e di assunzioni di responsabilità, non di latitanze parlamentari come nel caso dello “scudo fiscale” ignorato perché “c’avevamo da fa’ con il partito, le mozioni, i circoli, le primarie, il congresso ecc”. Anticipo una tesi sperando di essere smentito magari con due anni di ritardo, giacché avevo scritto parte di queste cose già sull’Unità concentrate nell’immagine di “gente che gioca a carte nella Santabarbara del Paese in attesa che deflagri”: il partito democratico non è un partito e non è democratico, quindi non c’è. Vorremmo che ci fosse, dico coloro che intendono la politica come un confronto il più serio possibile tra una buona sinistra e una buona destra (è banale, ma anche lessicalmente non si dà l’una senza l’altra) senza le quali il Paese va a fondo come sta facendo: ma non c’è e di questo passo neppure ci sarà. Ma non c’è perché non ci può essere, la logica non lo prevede, sarebbe strano e addirittura incomprensibile il contrario. Che cioè ci fosse avendo fatto di tutto per non esserci, almeno nel senso della realtà culturale di un partito degno di questo nome.

Ripartiamo dall’ombra, dalla mancanza di identità, della consistenza di partito, della democraticità cancellata alla nascita da primarie scontate e bloccate nelle liste che dovevano battezzare la leadership di Veltroni dopo il caso “D’Alema-Forleo”. Sembra un secolo fa, sono passati meno di due anni. Faccio conti diacronici perché è proprio di questo che vorrei parlare: di tempo, di valori evaporati, di memoria. Azzerata. Di lotofagi, insomma, di cercatori di oblio. In questo Parlamento, che Berlusconi considera esplicitamente una perdita di tempo per un capo azienda qual è, il partito più antico, con più storia/cronaca, è la Lega. E come direbbe Totò, ho detto tutto. Il più giovane è l’Mpa, i due partiti principali di maggioranza e opposizione, quelli che tenderebbero ansiosamente al bipartitismo, Pd appunto e Pdl, hanno meno di due anni. Il “nuovo”, sareste tentati di chiamarlo. Qualcosa di giovane che anticipi, accompagni, segua lo sviluppo della politica (a colpi di leggi elettorali fatte in cucina come uno sformato). In teoria, se non ci fosse il piccolo particolare che partiti e politica li fanno vivere le persone, come attori in una parte a teatro, sul palcoscenico della società. E chi sono queste persone? Esattamente le stesse che da quindici anni (e alcuni da ben di più) confliggono per guidare la sinistra ex di lotta e intermittentemente di governo. Si assiste al paradosso per cui gli stessi attori cambiano piéce per far dimenticare al pubblico che sono sempre loro. Ma per rendere credibile il Partito Democratico, devono azzerare la memoria precedente perché il fatto che siano sempre loro conti meno della “novità” proposta in scena. Come a dire “siamo noi, ma è differente il contesto, la trama, la storia, quindi è come se non fossimo noi”.

Così della loro tradizione, del chiaroscuro di cui è fatta la politica (“sangue e merda”) sotto qualunque cielo e in qualunque stagione, del loro passato complessivo, si debbono liberare come di un fardello fastidioso se non addirittura dannoso/pericoloso. Per loro, non per coloro che rappresentano, che magari vorrebbero discutere anche di quel passato per vedere di trattenere il buono e liberarsi del cattivo. Così negli ultimi vent’anni i soliti due del dopo-Occhetto franato con il muro di Berlino e i muretti di Tangentopoli, dico naturalmente D’Alema e Veltroni, si ripropongono di continuo o direttamente o attraverso altre figure, leggi Bersani e Franceschini, a condizione di apparire “altri” e quindi di azzerare rigorosamente la memoria di prima. Gli stessi, ma altri. Splendida contraddizione che liquefa in nuce qualunque ipotesi di nuovo partito, che sia qualcosa di più e di diverso di un centro di potere o di un comitato d’affari pragmaticamente molto simile alla casa regnante berlusconiana con cui dovrebbe essere in competizione. E’ una necessità da lotofago circondarsi di oblio per ricominciare. L’importante è cancellare quello che siamo stati (fantastica la corsa tra i concorrenti alla leadership a chi era meno comunista o a chi in realtà non lo è mai stato…), così da giocarci soltanto il presente. Peccato che senza memoria, senza passato, non ci sia identità, non un vero presente se non un illusorio e bulimico presente che non permette futuro, che non si dipana in una storia possibile da ieri a domani. E tralascio qui di ricordare lo scandalo delle scalate bancarie, per cui D’Alema, Fassino e Latorre sono scappati a gambe levate invece che dare un’altra immagine della politica di fronte alla magistratura, impetrando al nemico giurato Veltroni di riempire un buco alla testa del Pd. Tralascio le complicità anche di altissimo rango nel rimuovere Clementina Forleo (poi “canzonata” dalla ragione postuma) o nel far passare come “guerra tra procure” la vergogna del caso De Magistris dove una aveva ragione, quella di Salerno, e una torto, quella di Catanzaro (cfr. l’indagine “Why not”). Fa tutto parte della lotta per il potere, senza partito e senza democrazia quindi senza “partito democratico” . Dolersi oggi di cosa esso non sia, ha davvero poco senso: basta rimettere insieme le tessere (del mosaico della memoria, non quelle precongressuali per cui non dormono la notte).

di Oliviero Beha (da Il Fatto Quotidiano n°9 del 2 ottobre 2009)

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