Economia & Lobby

Vento e gelo nella tendopoli de L’Aquila

In quelle tende si muore di freddo
Nelle zone del terremoto, molti rifiutano l’albergo: “qui sono nato e voglio restare”.

Il freddo è arrivato a L’Aquila, 725 metri sul livello del mare, conca ai piedi del Gran Sasso e della catena del Velino Sirente, dove il gelo si incanala con temperature che sfiorano i 20 gradi sotto lo zero. Un freddo che nelle 2000 tende, fa battere i denti, gelare mani e piedi fino a paralizzarne le dita. “Quando lui diventa tutto bianco è finita” dice Maria, 59 anni, fazzoletto di lana che lascia scoperto il viso segnato dalle rughe. ‘Lui’ è il Gran Sasso imbiancato che guarda ma non protegge i 6.000 sfollati che ancora vivono in tenda. A Tempera, San Gregorio, Navelli, San Demetrio, Villa Sant’Angelo,Santo Eusanio, le telecamere non sono mai arrivate. Arriviamo con occhi curiosi e non giudicanti, timorosi per non urtare la sensibilità di chi è giustamente geloso della propria intimità, devastata dal sisma. Niente mensa, niente presidio medico, niente vaccino antinfluenzale, nessuna assistenza nonostante vi siano disabili e anziani.

Si legge la disperazione negli sguardi dei vecchi con i berretti di lana calzati sulla fronte, seduti sui muretti, immobili come statue. Giovanni, 78 anni, fatica a parlare per via dell’asma: “qua sono nato, qua voglio morire”, dice battendo il pugno sul cemento. “Che albergo e albergo! Queste sono cose per signori, io ho lavorato tutta una vita per una casa che non ho più e adesso arrivano loro a dirmi che le case non ci sono e devo andare via. Bravi, proprio bravi”, conclude levandosi il cappello in segno di ironica referenza. Piove, l’aria è tagliente. Domani lo sarà ancor di più, con raffiche di vento previste a 80 km orari. “Resisteranno le tende, già allagate dal temporale dei giorni scorsi?”. È la domanda che si fa Teresa, 68 anni, che si scalda le mani con il respiro mentre esce dalla tenda per raggiungere il bagno. La vita qui, dove il terremoto si è abbattuto sulla povertà, scorre lentamente tra il passo incerto delle donne avvolte nelle coperte e l’allegria muta dei bambini che giocano dentro queste celle frigorifero che si chiamano tende. Bimbi che vanno a scuola, vestiti come eschimesi, per fronteggiare temperature severe. Si vedono mani callose, abituate a resistere, si sentono parole strazianti che ripetono, come una litania: “io in albergo non ci vado”.

Grazia, 30 anni, vive al nord. Qui ha i genitori che stringe a sé come fossero figli. “Sono io che proteggo loro, adesso, sono spauriti. Temo che non ce la facciano a sopportare l’inverno. Mia madre ha la bronchite cronica ma purtroppo non posso portarli con me”. Anna Pacifica Colasacco nel suo blog (MissKappa, fino a 3mila contatti al giorno) fin dalla prima scossa non ha mai smesso di fotografare la realtà, dietro il palcoscenico delle dentiere donate e delle ville a disposizione millantate. Anna aveva un laboratorio di restauro, viveva a Costa Masciarelli, in pieno centro storico, in una casa vincolata dalla soprintendenza che non è ancora stata puntellata come le altre. Da sei mesi vive in un container che si è comperato con un mutuo. “Il G8 non solo non ci ha portato nulla, ma ha ritardato di oltre due mesi la ricostruzione, fatta con gli occhi rivolti agli interessi delle imprese. Cosa che ha portato a saltare la fase intermedia, passando dalle tende alle case contro il nostro volere e ha segnato la comunità”.

C’è chi ora vive, come topi in gabbia, in case finte dove c’è tutto, dalle forchette agli strofinacci allo zerbino colorato davanti alla porta, ad eccezione della possibilità di riempirle di vita vera. E a Piazza D’Armi la disperazione si fa protesta. Che blocca il traffico in prossimità della rotonda di Santa Barbara Si tratta del campo tante volte mostrato in tv come modello d’efficienza, di organizzazione tempestiva nei soccorsi, un’immagine falsata dal bisogno del Premier di trasformare tutto, anche le catastrofi, in passerelle mediatiche. Ora il sole che non riscalda più né cuore né pelle è una morsa di gelo che fa paura anche ai maghi della ricostruzione. “Entro la fine del mese saranno smontate tutte le tendopoli in Abruzzo”, aveva detto Bertolaso il 15 settembre, nei giorni della consegna delle casette di Onna, a Porta a Porta. Le parole pesano se poi le azioni mancano. E pesano quelle della lettera firmata da Bertolaso e dal Sindaco de L’Aquila, Cialente (Pd), per chiedere ai cittadini di accettare di essere spostati negli alberghi: “in attesa di festeggiare il Natale in un clima più sereno”. La firma di Cialente suscita perplessità. Perchè “aveva sostenuto la proposta, una delle poche contrarie al volere della Protezione Civile, di realizzare case mobili mentre ora si allinea”, srive Anna pacifica sul suo blog. Sotto le tende arriva un’altra lettera di Bertolaso: “scrivo perché non mi sento ma sono aquilano, non mi sento ma sono terremotato. Si passa dai giorni del lutto e della solidarietà a quelli duri del tempo che rallenta, delle televisioni che non hanno più inviati. Resto qui, credo in coscienza di aver conquistato il diritto e l’onore di vivere insieme a voi”. Pura retorica sentenzia Carlo, studente di 19 anni: “cosa altro ha in mente? Ha già contribuito ad affossare ogni nostra rivendicazione è meglio che torni da Papi”. Mentre Giulia, studentessa liceale che si dice credente, affida il commento a Benedetto XVI, citando l’enciclica Caritas in veritate: “la solidarietà senza sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno”. Questi aiuti senza coinvolgimento, “elargiti dall’alto come “miracoli” di efficienza e di amore – dice Giulia – mi umiliano”.

“Chiedevamo partecipazione, invece qualcuno ha detto ‘ghe pensi mi” aggiunge Paolo, 21 anni, che mostra il volantino distribuito nelle tendopoli. C’è scritto: “Non camminare davanti a me, potrei non seguirti; non camminare dietro di me, non saprei dove condurti; cammina al mio fianco e saremo sempre amici”. Intanto nelle zone residenziali semideserte della città, a ridosso dei cassonetti, ci sono montagne di rifiuti bagnati dalla pioggia. Ma la vera emergenza, di cui nessuno parla, resta quella delle macerie non ancora rimosse che contengono materiali altamente tossici Come l’eternit.



da Il Fatto Quotidiano n°20 del 15 ottobre 2009

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