di Antonio Gaudino

Poco meno di dieci anni fa, i giudici della California “liberal” sentenziarono: Napster deve chiudere, perché fuorilegge. Una cosa è certa, all’allora ventenne Shawn Fanning, l’inventore di Napster, prima del famoso accordo con la Bmg, riuscì nell’impresa del secolo, assassinare il copyright e resuscitare il comunismo (per lo meno quello digitale). E’ in atto ormai da anni, il conflitto fra l’era industriale e quella virtuale. Da un’idea semplice, come quella di un banale scambio, è nata una rivoluzione che ha fatto saltare lo strapotere delle major. Non a caso la Bertelsmann (Bmg), prima del verdetto, scese a patti con il “nemico” numero uno, intuendo le potenzialità devastanti che Napster poteva sprigionare nell’immediato presente e nel prossimo futuro. L’idea delle major, prima della sentenza, era quella di farla chiudere, smontare Napster per studiarne la tecnologia e utilizzarla a proprio vantaggio. Si narra fosse questa la soluzione finale. Del resto, la storia dei diritti d’autore è storia antica. Nel 1709 la regina Anna d’Inghilterra introdusse nello Statuto del Regno inglese (colonie comprese) la prima legge mondiale sui diritti d’autore, che fu approvata dalla maggioranza del parlamento. Fino ad allora, i grandi geni dell’arte tutta, mossi dall’esclusiva esigenza di “creare”, non si erano mai preoccupati di affermare la proprietà delle loro opere. Una cosa di cui tutti parlano ancora oggi, politici, discografici e addetti ai lavori in genere, ma a cui a nessuno viene in mente è quella di mettere mano al prezzo (Iva inclusa) dei cd. I venditori di cd pirata e il concetto stesso di Napster hanno alla fine una motivazione comune, i cd costano troppo.

Certo è che a nessuno fa piacere acquistare musica pirata o scaricare musica per masterizzarla su degli anonimi cd-r, un po’ per i sensi di colpa nei confronti del mercato autorizzato e un po’ per la qualità di questi prodotti, che sono scadenti quanto economici, ma è anche vero che per la maggior parte degli acquirenti, giovani tra i 17 e i 25 anni in media, i 20 euro del cd rappresentano una spesa. Lo stato italiano non si è ancora adeguato al 4% d’Iva che l’Europa adotta sulla musica in quanto prodotto culturale; da noi la musica rimane un bene di lusso, e, in quanto tale, soggetta a Iva del 20%. La proposta di legge Veltroni giace in parlamento da anni. Le major vinsero facendo chiudere (o vivere a modo loro) la rivoluzionaria Napster. Gli artisti (anche quelli più sensibili e impegnati) fanno buon viso a cattivo gioco. Le vere vittime di questa new economy erano e sono i ragazzi, e gli acquirenti tutti, che fanno mercato pagando cifre inaccettabili per un bene culturale come la musica.

da Il Fatto Quotidiano n°21 del 16 ottobre 2009

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

E ‘Gnazio urlò: “Pedofilo!”

next
Articolo Successivo

Con un filo di Voce.info

next