Salve a tutti, mi chiamo Francesca ho 25 anni. Una storia lavorativa infelice fatta di stage, lavoro nero, apprendistato finiti male nel magico mondo degli uffici stampa sul milanese. Mi laureo con il massimo dei voti e nei tempi giusti, neanche a dirlo. Decido di cambiare lavoro, ormai delusa e convinta che il mondo della comunicazione non potrà mai offrirmi un minimo di stabilità. Smetto di fare la pendolare e cerco lavoro nella operativa provincia bergamasca dove abito. Lo trovo, vengo assunta nell’ufficio commerciale estero di una multinazionale, praticamente oligopolista nel suo settore. Imparo il lavoro in breve tempo. Vengo assunta prima per un mese. Poi per sei mesi. Poi per altri sei mesi. La mia mansione: addetta all’archivio. Ovviamente facevo tutt’altro, con ben altre responsabilità, ma non starò a "voler cercare il pelo nell’uovo". Apprendo la splendida notizia di essere incinta. Faccio 2+2 e capisco che la mia avventura lavorativa è finita, nuovamente.

Decido di rinunciare ai miei diritti, nella vana speranza che la mia "imbecillità" venga premiata: ho una gravidanza difficile e per le visite prendo giorni di ferie. Do la notizia al mio responsabile e pochi giorni dopo mi comunica che la responsabile HR (lei sì a casa in maternità nel pieno dei suoi diritti!) ha comunicato che il mio contratto sarà rinnovato a tempo INDETERMINATO: "impossibile" penso subito, "non sono in Italia", "non può capitare proprio a me!" Scherzetto: il capo mi riconvoca e mi spiega che c’è stato un grosso misunderstanding: al telefono aveva capito male e il mio contratto sarà rinnovato a tempo DETERMINATO. Mi crolla il mondo addosso, tutte le mie speranze, i miei progetti si risolvono in un pianto sommesso piuttosto umiliante. Mi "ricattano" con lo strumento del contratto per tenermi fino al mese prima del parto, nel frattempo sempre visite e sempre ferie. Arriva la crisi, mi dicono che una mamma ha ben altro da fare che lavorare (chi me lo dice è la responsabile HR con due figli piccini), mi dicono "meglio a te che a un padre di famiglia" e via dicendo, e un bel arrivederci, ma con una promessa: "Magari fra 6 mesi ti richiamo perchè siamo pieni di lavoro fin sopra i capelli, magari…". Io rimango senza parole.

Le mie ex colleghe mi informano che sono costrette a fare cassa pur avendo una montagna di lavoro e di ordini da evadere. L’azienda ha fatto utile (abbastanza lampante in regime di oligopolio), l’amministratore delegato ha cambiato macchina, il lavoro c’era ma sull’onda della crisi hanno chiuso i contratti e chiesto la cassa integrazione e io sono senza lavoro, troppo qualificata per fare cassiera, commessa & Co. o "troppo mamma" per un altro lavoro. A 25 anni non ho nessuna speranza nel mio futuro lavorativo e se ci penso mi assale la tristezza e l’angoscia di vivere in un paese dove avverto la spaventosa assenza dello stato, una sensazione di deriva che si riflette in un pensiero sconfortante sul futuro della mia piccola. Un paese che non riconosce alle donne di poter essere madri e lavoratrici. Un paese che ai giovani non garantisce uno straccio di sicurezza sul domani. Non si preoccupi Signor Ministro dell’Economia siamo abituati a farci prendere per i fondelli, da sinistra a destra: dai "bamboccioni" al "posto fisso", come sempre, non cambia nulla.

F.B.

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