Lettera al presidente della Vigilanza Rai
Caro Sergio, avevo aderito all’invito che mi hai rivolto di partecipare al seminario su “Lo stato della Tv in Italia e il ruolo della Rai. Il Servizio pubblico e la sua identità” per la stima che da decenni nutro per te. Alcuni fatti recenti mi impongono tuttavia di rinunciare.
Il quotidiano “Il Fatto” ha pubblicato venerdì 20 novembre un’inchiesta di Marco Lillo che negli Stati Uniti avrebbe candidato l’autore al premio Pulitzer e che in Italia gli ha invece garantito il più assordante silenzio. Da parte, in primo luogo, di quel “Servizio pubblico” (che tu metti con la maiuscola, come si fa con le parole Costituzione e Repubblica, per sottolineare il carattere istituzionale dello stesso, il suo “appartenere” ai cittadini tutti), che si è ben guardato dal riferire i fatti cui l’inchiesta fa riferimento. Fatti clamorosi, e che in qualsiasi altro paese dell’Occidente avrebbero già portato (sollecitate in primo luogo dalla sua parte politica) alle dimissioni del presidente del Senato Renato Schifani.
Nel frattempo continua la menzogna sistematica della Rai sul disegno di legge del “processo morto”, spacciato per “processo breve” ma che in realtà condanna all’estinzione un numero altissimo benché ancora imprecisato di processi. Numero imprecisato, perché la maggioranza di governo sbandiera ai quattro venti ciò che tale legge deve garantire in modo catafratto, che Silvio Berlusconi non possa assolutamente essere processato quale che sia il reato di cui sia stato o possa essere incriminato (fino ad oggi e nel futuro), ma ancora non sa con quale “azzeccagarbuglio” aggirare l’evidente incostituzionalità di una legge che abbia tale abnorme, ma dichiaratissimo, fine.
Di fronte a una situazione che vuole ripristinare il pre-moderno sovrano “legibus solutus”, e vede un presidente del Senato ancora al suo posto, malgrado l’inchiesta giornalistica (questa sì un autentico “Servizio pubblico”) che ha mostrato il suo ruolo di avvocato di un condominio (abusivo) zeppo di mafiosi o parenti di mafiosi e costruito calpestando i diritti di due anziane e inermi signore ancora fiduciose, come il mugnaio di Federico, che ci sia “un giudice a Berlino”, come potrei partecipare a un seminario che si apre proprio con i saluti del senatore Renato Schifani, a cui per un minimo di moralità e di senso dello Stato non potrei ovviamente stringere la mano?
Tu sei l’indimenticabile autore di un grande servizio televisivo a puntate che ha onorato il “Servizio pubblico”, “La notte della Repubblica”, e sei dunque nella posizione migliore per capire lo sgomento, di decine di milioni di cittadini e mio, di fronte al momento davvero cupo per la resistenza della democrazia che il nostro paese sta attraversando. In questa situazione mi sembra necessario che tutte le ore che il lavoro mi lascia disponibili vengano da me dedicate a dare un contributo alla realizzazione della manifestazione con cui il 5 dicembre l’Italia che crede ancora nella Repubblica scenderà in piazza in difesa della Costituzione.
Sono certo che mi capirai.
Un caro saluto
Paolo