Le stragi, la trattativa e Forza Italia: oggi la deposizione che fa tremare il premier
di Giuseppe Lo Bianco
Killer veloce e preciso della famiglia di Brancaccio, Spatuzza è protagonista dell’intera stagione di violenza e aggressione alle istituzioni, dal ’92 al ’94: sedicente autore del furto della 126 utilizzata in via D’Amelio, ladro del Fiorino imbottito di tritolo in via dei Georgofili, agente di polizia in divisa per sequestrare il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, strangolato e poi sciolto nell’acido, membro del commando che massacrò padre Pino Puglisi, e uomo di fiducia dei corleonesi, che lo utilizzarono fino alla fine della strategia stragista affidando a lui il telecomando che doveva far saltare l’autobomba contro il pullman dei carabinieri un pomeriggio di gennaio del ’94, fuori dallo Stadio Olimpico.
Spatuzza vuole fare una cosa eclatante, ammazzare “almeno 100 carabinieri’’, ma è la fine di una carriera di morte, questa volta fortunatamente fallita, iniziata negli anni Ottanta quando Spatuzza, impiegato della ditta di trasporti Valtras, dove dirà di aver visto il boss incontrare Schifani, viene utilizzato per dare “la battuta’’, segnalare, cioè, la presenza della vittima designata al commando di killer chiamati a eliminarla. Gaspare è sveglio e veloce, e scala presto i gradini della gerarchia della famiglia, senza, però, entrare a far parte di Cosa Nostra. A Brancaccio sono rigidi nella selezione degli ingressi e Spatuzza, assieme a pochi altri, è un killer fidato e spietato, ma non ancora uomo d’onore. Diventa l’uomo di fiducia dei Graviano: va a Firenze a piazzare il tritolo, e a Brancaccio a uccidere padre Puglisi, e su ordine loro riesce a fare abortire una studentessa fuori sede rimasta incinta dopo una relazione con un boss mafioso . È lo stesso pentito a raccontare di averla aggredita in casa costringendola ad assumere farmaci abortivi davanti la sua compagna di stanza legata e imbavagliata su una sedia.
Quando, alla fine di gennaio
del ’94, i suoi capi vengono arrestati a Milano nel ristorante “Il cacciatore’’, Gasparino passa gli ordini di Nino Mangano, il nuovo reggente della cosca, e, quindi, di Leoluca Bagarella. Ma la stagione delle stragi è ormai alle spalle, sugli uomini di Brancaccio inizia la pressione della Procura di Palermo e in pochi mesi vengono arrestati dalle forze dell’ordine coordinati dal pm Alfonso Sabella oltre 400 mafiosi, compresi gli ultimi uomini d’onore rimasti in circolazione: Luigi Giacalone, Fifetto Cannella e Giorgio Pizzo. Spatuzza continua a obbedire agli ordini di morte: si sposta al nord, a caccia del pentito Pasquale Di Filippo, e riesce persino a individuare l’edicola dove il collaboratore compra il giornale. E alla fine per lui arriva il salto di qualità: Matteo Messina Denaro e Brusca decidono di farlo diventare “uomo d’onore”. Ma una mattina, durante l’ennesimo blitz a Brancaccio, i poliziotti catturano Giovanni Garofalo, detto “culo di paglia”: da tempo senza guida la cosca di Brancaccio è ormai allo sbando, il picciotto si pente nella stessa volante che lo conduce in carcere e rivela: ho un appuntamento con Spatuzza. Gasparino finisce in manette quello stesso pomeriggio e subito manifesta la volontà di collaborare con la giustizia. A fargli cambiare idea è la moglie, e dovrà aspettare dieci anni prima di saltare il fosso, dopo una conversione religiosa e numerose lettere spedite al vescovo della diocesi del carcere. Oggi è chiamato a confermare quel che gli disse, raggiante, Giuseppe Graviano: “Dopo l’accordo con quello di Canale 5 abbiamo il paese nelle mani”.
da Il Fatto Quotidiano del 4 dicembre 2009