In un paesino del mantovano discriminati gli alunni della scuola pubblica: niente coro.

Ceresara, Mantova. Duemilaquattrocento abitanti, tre frazioni tra il Mincio e l’Oglio, il paese è più lungo da scrivere che da attraversare. È il distretto delle calze, che non se la passa particolarmente bene di questi tempi: ma qui risultano occupati più della metà dei residenti. Un posto che assomiglia a mille uguali da queste parti, pianura spietata dove l’inverno è foderato di nebbia e d’estate il sole spacca la testa della gente. Dialetto mantovano contaminato dai venti bresciani che spirano da nord. Cipressi nel viale della chiesa della Santissima Trinità che i vecchi dicono che è vecchia come il mondo: quasi certamente è stata costruita nell’anno 1000. Ci sono le corti: aia, stalle, mattoni a vista e archi come quelli di Novecento (girato anche non lontano da qui).

Case padane, padana anche la giunta: sindaco rag. Enzo Fozzato, vicesindaco arch. Barbara Ruffoni. E se a Brescello il sindaco comunista Peppone era il meccanico del paese, a Ceresara il vicesindaco leghista Ruffoni è la direttrice del coro della parrocchia, che stasera si esibirà per il concerto natalizio. Ma non tutti i bambini sono ammessi, o meglio: qualcuno non è stato invitato.

L’esclusione non è capitata in sorte agli stonati, quelli che una volta severe maestre con gli occhiali sul naso pregavano di far solo finta di cantare. In chiesa stasera non ci saranno gli alunni dell’asilo pubblico, solo i bimbi che vanno alla scuola cattolica. Frequentando le suore, saranno più vicini a Dio, avranno pensato gli organizzatori? “Chi va alla scuola pubblica lo fa per scelta ideologica”, ha soavemente spiegato la vicesindaco al sito Internet del quotidiano locale, la Gazzetta di Mantova. In paese, i genitori dei senzadio non l’hanno presa bene. ”Nessuno ci ha informato – dicono mamme e papà – l’abbiamo saputo da un volantino dove si parla della partecipazione dei soli bambini dell’asilo privato ad un momento di abbraccio comune. Evidentemente però i bambini per qualcuno non sono tutti uguali”.

Natale di seconda mano, cantava De Gregori: gratta gratta salta fuori che il problema sarebbero gli extra-bimbi, quelli un po’ abbronzati nelle cui vene non scorre sangue al profumo di capunsei (specialità della zona). Che non si chiamano Bertoni, Castagna o Maestrini (cognomi locali). In posti così minuscoli, è extracomunitario anche uno di Suzzara (verso Reggio Emilia) o di Castel D’Ario (verso Verona): eppure la tentazione del disuguale sembra irresistibile. Solo che i bambini hanno antenne satellitari per i processi di esclusione. Emarginati dai giochi dei loro coetanei perché troppo brutti, troppo poveri, troppo grassi, o troppo poco bianchi: sentirsi diversi, vuol dire sentirsi fuori. È un brutto sentire, specie se causato dagli adulti. Perché si subisce di più. Stare fuori stasera vuol dire essere esclusi dalla comunità che in questi giorni celebra l’amore di Cristo: “Ricordati di santificare le feste”. Soprattutto: ama il prossimo tuo (sottotitolo: anche se è meno pallido di te).

da Il Fatto Quotidiano del 23 dicembre 2009

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