In un altro Paese, per esempio l’America, il Freedom of Information Act metterebbe in grado questo giornale, e soprattutto i grandi quotidiani impegnati a dire tutto all’opinione pubblica, di chiedere le carte sullo spionaggio illegale agli uffici di cui – a suo tempo – erano dirigenti o dipendenti il generale Pollari o il romanzesco funzionario Pio Pompa.
Gli uffici competenti li dovrebbero consegnare, perché quella regola democratica negli Stati Uniti non può essere violata. Gli americani devono sapere. Gli italiani no. Noi non solo non abbiamo un Freedom of Information Act. Non abbiamo neppure una contrapposizione netta, riconoscibile lungo linee di partito, fra chi vuole sapere e chi ritiene che non si debba sapere mai, persino in caso abusi. Ora è certo un abuso organizzare in Italia lo spionaggio continuato e sistematico di magistrati, giornalisti, scrittori italiani. Ma non ne sapremo mai nulla, perché su tutta la vicenda è calato il segreto di Stato fin dal 2007, quando era al Governo il Centrosinistra.Ora è chiaro che il capo del Popolo della Libertà intende mantenere il segreto di Stato "senza se e senza ma" (e senza "però" come Stefano Bartezzaghi suggerisce di aggiungere alla ormai celebre espressione).Tutto, perciò, rimane e rimarrà al buio. Ma è un buio che dà fastidio dirò le ragioni.
1. Non sapere vuol dire non poter calcolare il senso, dunque il pericolo dell’operazione di spionaggio che coinvolge tante persone. Dire che in tal modo si tiene il fiato sul collo dell’opposizione è un po’ ingenuo. Una simile operazione richiede – se non altro per il consenso di chi deve approvare e per gli archivi – un perché. Naturalmente quel perché è stato inventato. Ma intanto c’è. È un atto di governo ed è coperto da segreto. È un fatto grave e pericoloso.
2. Spiare un cittadino è un atto offensivo. Autorizza altre persone a pensare in buona fede "ci sarà una ragione" persino mentre leggono queste righe. Io sto per dire che sono stato tra gli spiati, con il nome in codice Rioco (accostamento della seconda sillaba del primo nome con la prima del cognome).
3. Eppure non è tutto. Qui entra in scena il sociologo sinistra-destra Luca Ricolfi (ottimo mestiere: ti definisci di sinistra, parli a destra e sei citato ogni giorno da una folla) che descrive così al Riformista (18 dicembre) il fare opposizione a Berlusconi: "C’è un vero e proprio capovolgimento rispetto al paradigma che vedeva l’impegno come sacrificio. È naturale che i più impegnati sono abituati a mescolare lavoro e divertimento. L’esatto contrario dei militanti di Berlinguer". In altre parole la "compagnia di giro" (definizione del prof. Ricolfi per chi si ostina ad opporsi) si diverte un mondo a dire che la Repubblica del conflitto di interessi è in pericolo. E se viene anche spiata, pensa che festa. Magari ci puoi scrivere un thriller. Quanto al perché, non conosceremo mai le motivazioni offerte ai superiori gradi. Ma Ricolfi riesce a descrivere il caso con parole di cui Pio Pompa dovrebbe appropriarsi subito: "Se siamo in uno ‘stato di eccezione’, come fai a non pensare in buona fede che il fine giustifica i mezzi?". I dipendenti di Pollari e Pompa hanno forse commesso un errore, trascurando Tartaglia. Ma se li lasciamo lavorare in pace nel segreto di Stato, tutti gli altri – da Travaglio, ai giudici di Milano e Palermo, a don Ciotti, al sottoscritto – non li perdono d’occhio un minuto. E l’Italia è salva.