di Valerio Venturi

Iran anno zero. Mentre cresce la repressione di pasdaran e basij, nel martoriato Paese si apre la prospettiva seria di una svolta. Anche grazie al web. Ahmed Rafat, giornalista italo-iraniano che Ahmadinejad non volle in sala al vertice della Fao a Roma ’08 perchè "sgradito", scommette su un cambiamento: "La gente è nelle strade e non vuole tornare a casa; nonostante la violenza del governo, le manifestazioni di resistenza sono quotidiane. Se Internet funziona, ce la faranno".

Che ruolo stanno svolgendo il web e i nuovi sistemi di comunicazione?

Sta per uscire un libro che ho scritto per l’editore Barbes che si intitola "Iran: la rivoluzione online", ed è il frutto di interviste fatte su web: la tesi è che questa sia la prima rivoluzione a livello mondiale che si svolge grazie all’uso dei social network, dei telefonini…Ho parlato con uno dei capi di Facebook ed era sorpreso: non si aspettava che la loro piattaforma potesse servire per la democrazia in Iran. Ma è così: le riunioni si organizzano su web, con sms, le persone si scambiano le informazioni con il bluetooth, e non è un caso che il governo stia facendo di tutto per ‘tagliare’ internet e gli sms.

Quali sono i leader della rivolta?

Il movimento verde non accetta leader; sono i leader, semmai, che corrono dietro al movimento. Lo slogan è: "per Moussavi e Carrubi. Con voi, finchè siete con noi". Non c’è carta bianca ma critica dal basso. Questa è un’altra novità: la piazza si auto-organizza e trascina i leader usando le tecnologie. Moussavi, il più in vista, deve correggersi ogni volta per adeguarsi alla volontà del popolo; nella rivolta contro lo Scià, la gente eseguiva i comandi che venivano dall’alto.

Chi sono i manifestanti?

L’Iran ha 70 milioni di abitanti, più del 60% hanno meno di 30 anni. Il movimento verde è giovane e comprende persone che sanno bene cosa succede altrove – ci sono 52 canali e 500 radio in farsi; soggetti che sanno usare il web e le nuove tecniche. I rivoltosi sono non violenti: pure quando subiscono, non uccidono nè feriscono. Quando i miliziani sono catturati, vengono spogliati dei loro vestiti, che si bruciano; quindi sono cacciati con l’arma al collo. La scelta della non violenza e l’uso determinante delle nuove tecnologie sono la risposta dell’Onda all’arretratezza e alla violenza del regime.

C’è un orientamento politico predominante?

Il movimento è arcobaleno: comprende al suo interno dai marxisti ai conservatori religiosi non radicali. Una fascia ampissima di moderati, laici…

Quasi come il Pd. Non c’è rischio di visioni divergenti?

La varietà è una ricchezza e un limite. In Iran non c’è cultura di partiti politici e questo può rappresentare un problema perchè non c’è alternativa, c’è la paura che si parli e basta, o che, come già accadde, un ‘settore’ prevalga sugli altri. Si va per gradi. Si dà per scontato che il governo post-rivoluzione sia formato da religiosi riformisti, così come pare certo che il presidente eletto – per la gente è Moussavi – sostituirà Ahmadinejad. Ma non sarà forte, dovrà far i conti con una piazza sveglia e vigile.

Cosa chiede la piazza?

Gli slogan diventano sempre più radicali e determinati. Si diceva: "ridammi il voto", ora "dovete andarvene". Si chiede la fine della repubblica islamica e si invoca la democrazia. I Paesi occidentali devono sostenere il cambiamento per avere un partner affidabile e un nucleare non pericoloso. Occorre bloccare le interazioni con Ahmadinejad, studiando il modo per fornire internet via satellite ai manifestanti.

Da Il Fatto Quotidiano del 31 dicembre

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