Operazione Cultura

Santo, rosso e Verdone

A 60 anni, il nostro attore comico più popolare firma il film spartiacque della sua carriera e racconta successi e i (pochi) rimpianti.

“PRIMA O POI ARRIVA per tutti il momento di questo”, avvisa Bernardo brandendo una boccetta di Serenil in Maledetto il giorno che t’ho incontrato, radiografia irriverente , ironica e tenerissima dei guai della testa. Era il 1991. Molti anni dopo, per girare Io, loro e Lara il regista abbassa la camera verso il cuore. All’alba dei sessanta è più Carlo che Verdone. I sorrisi che strappa in questo film – che forse è un vero spartiacque nella sua carriera – sono sinceri e non istigati. E per raccontare ha bisogno più di umanità che di (psico)analisi, di amore più che di paure, di incanto più che disillusione, di speranze più che di nostalgie. Soprattutto di semplificazione, di riportare tutto (sentimenti, perigliose odissee della mente, rapporti) dalla Luna alla Terra. Così capita che nella conversazione si affaccino fede, politica, l’Africa mistica, l’amore come lavoro, pezzi di sé perduti con le persone che se ne sono andate. E calci nel sedere che a qualcosa sono serviti.

Don Carlo, quindi: ed è la prima volta che interpreta seriamente e senza sarcasmo il ruolo di un sacerdote. Com’è stato?

Le figure clericali, nei miei lavori precedenti, erano caricature di un vecchio clero “stereotipato”. Lo erano nella voce melliflua, nei toni cantilenanti e nei gesti pacati. Erano osservazioni di tic di anziani parroci di campagna che ho “dilatato” in teatro, in tv e nei primi film. No, qui ho sentito il bisogno di interpretare una persona perbene, onesta. Un prete che crede in quello che fa in Africa ma che ad un certo punto sente il peso della fatica e forse la perdita della fede. Ne vorrebbe parlare con i suoi familiari ma a nessuno frega niente. E anzi lo coinvolgono in un clima di guerra tra parenti, in un manicomio assoluto, mettendolo in situazioni miserabili per un prete. Attraverso i suoi occhi vede un “mondooccidentale”,rappresentatodallasuafamiglia, alla deriva totale.

Cantautori, scrittori, artisti: molte conversioni ultimamente. Che rapporto ha con la fede, se ha fede?

Le conversioni declamate su giornali e riviste dai vip mi rendono molto dubbioso. Chi ha veramente fede ha un comportamento molto sobrio e la sua serenità la vive intimamente, attraverso azioni concrete verso il prossimo senza ostentazione. La mia fede vacilla continuamente. Ma alla fine riesco sempre a recuperarla. Dopo la morte di mio padre, stranamente, la sento accresciuta. Ma è un percorso duro, estenuante direi. Conosco molti atei che si prodigano per il prossimo e, a mio avviso, sono molto più ricchi spiritualmente di tanti bigotti cattolici di enorme aridità.

Africa, il continente degli ultimi. Eppure un luogo più “consolatorio” dell’Occidente schizofrenico e ipercinetico, che lei ha raccontato – prendendolo e prendendosi in giro – in molti film. Come nasce questa storia?

Per me l’Africa è un luogo “mistico”. Mistico nel senso che pur nella povertà ti consegna “lo stupore”. Nella natura e spesso nella dignità di chi non ha nulla. Quello stupore che in molte parti dell’Occidente si è completamente sbiadito. Se vogliamo questo film, pur essendo una commedia, è anche la constatazione di quanto siamo noi i veri miserabili. Confusi, insicuri, scontenti. Pur avendo tutto.

Dice: “In Occidente manca il rapporto umano e tutto ruota attorno alla psicoanalisi. In Africa non c’è tempo per queste cose”. Revisionismo sulla psicanalisi?

Sì, il dramma nostro oggi sono proprio le relazioni umane. A tal punto che deleghiamo alla psicanalisi troppe cose che non ci va di indagare da soli e così ci affidiamo ad una persona, a pagamento, nel risolverci il problema. Esempio: non conto più gli amici che, avendo avuto un insuccesso sentimentale, non ricorrano all’analista. Queste vicende fanno parte della vita e dovrebbero esser risolte attraverso un ragionamento personale fondato sul buon senso. La bulimia, l’anoressia, la depressione sono spesso malattie “occidentali”, del benessere. Nel senso che un africano non si può permettere di essere depresso più di tanto. Perché lì mancano l’acqua,ilpane…Lapsicanalisiserve,eccome,inmolti casi. Ma spesso se ne abusa.

A proposito, sul tema: meglio “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” o “Ma che colpa abbiamo noi”?

Chiedo perdono per la mia presunzione, ma sono due ottimi film. Estremamente veri in tutto. Perché testimoniano la nostra crescente decisione nel non decidere.

Anche in “Io, loro e Lara” la famiglia è un luogo di guai e nevrosi, rapporti cronicizzati nei problemi. Come ci si salva?

Ci si salva parlando e condividendo il più possibile con i propri figli. Genitori distratti creano figli infelici. Nei rapporti sentimentali, se non ci si mette in testa che amare è anche “un lavoro”, un impegno, si scrive presto la parola fine.


Suo padre Mario è scomparso quest’anno: cosa le manca di più di lui?

Mi manca il suo parere. Mi manca la sua indignazione
per tante cose cui oggi assistiamo. Mi manca la sua grande, immensa dignità di uomo libero. E la sua immensa ironia.

Per fare questo film è tornato a Cinecittà, dopo tantissimo tempo. Che effetto le ha fatto? Solo Amarcord? Lara è una signorina piuttosto turbolenta. Un casino. La figura della donna-ciclone che sconvolge vite è un suo grande classico. Perché?

Perché le mie prime storie sentimentali private erano nate nel periodo femminista. Dove la donna si impone sull’uomo e lo “declassa”. Una donna forte ma spesso inafferrabile. Affascinante ma che mette soggezione. Diciamo che questo tema è stato abbondantemente raccontato da me e anche da Troisi. Ma c’è anche un altro aspetto. E cioè che io, come attore, rendo molto di
più quando vengo messo in perenne difficoltà, quando sono in imbarazzo o alle corde. Questo mi permette di esaltare la vitalità dell’attrice e a me di esprimermi al meglio. Non credo di avere la faccia del vincitore…

Ancora sulle donne. Lei ha scritto: “Quando una donna è forte lo è molto più dell’uomo. Quando una donna è noiosa lo è molto meno di un uomo. E ho sempre pensato che certi grandi uomini sono diventati “grandi” perché accanto a loro c’erano delle grandi donne”. Verità o galante cortesia?

Assoluta verità. L’ho visto con i miei genitori e l’ho notato in tanti personaggi della storia. Ma dobbiamo stare attenti. Essere un grande uomo non significa necessariamente essere “carismatico”. Anche Hitler lo era. Il grande uomo è nella saggezza, nell’autorevolezza del pensiero. Nella serenità delle decisioni, nel buon senso. E in genere il “buon senso” è suggerito spesso dalla donna che ti sta accanto.


Laura Chiatti, ma non solo: le  sueattrici sono spesso stupende. Cos’è la bellezza?

Rispondo con una battuta di “Borotalco”: “La prova provata dell’esistenza di Dio”. A parte gli scherzi, credo che la bellezza sia molto soggettiva. Per me è una forte emozione che non mi colpisce subito ma a poco a poco. Mi innamoro dei volti. Degli occhi, dei capelli, delle labbra.Spesso di alcuni dettagli che nel cinema sono un valore aggiunto grazie al primo piano.

Parliamo d’amore. Meglio con o senza? Pace o ginocchia che tremano?

Ma senza la passione, il cuore che batte, i patemi d’animo, la sudarella vuol dire che sei un arido! Uno che non ama può dire di essere esistito ma di non aver mai vissuto.

Il suo compagno di zingarate musicali, Antonello Venditti, in una famosissimo pezzo, canta: non c’è sesso senza amore. Vero o falso?

Falsissimo purtroppo. Il sesso a pagamento sta tenendo quasi a galla molte economie.

Una volta ha detto:“La mia comicità deriva da una timidezza di fondo. Penso di essere un pedinatore di italiani. Li seguo, li guardo, ne osservo i tic e poi ne faccio un film”. In questo film prende in giro suo padre, che ritrova risposato con la badante rumena, arzillissimo e con manie giovaniliste. Difficile accettare il tempo che passa?

Ma perché? C’è un tempo per tutto. Io non cambierei nulla di quello che ho vissuto e non baratterei nulla. Certi ricordi sono dentro il mio cuore e li custodisco con amore, come un film che vedo e rivedo e non mi annoia mai. Anche se diventa sempre più in bianco e nero.

Quest’anno compie sessant’anni. Il rimpianto e il rimorso più grandi?

Il rimpianto di non aver avuto mia madre in alcune tappe della mia vita. Morì a 59 anni. Rimorso di non aver dato abbastanza ad alcuni miei amici fraterni. Sono vissuto e forse vivo troppo per il lavoro. Ed è uno sbaglio enorme.

Meglio un giro in Lotus, una partita della Roma o una cena con una bella signora?

Meglio un giro in Lotus con una bella donna sulle colline sabine con la radio che mi dice che la Roma ha vinto al 90°. Il massimo.

Libro sul comodino in questi giorni.

“La vocazione minoritaria” di Goffredo Fofi. Un grande uomo libero che dice quello che pensa.

“Voterò per Veltroni ma è l’ultima volta che voto”: poi è successo?

Era, all’epoca, una dichiarazione di disappunto per la politica sbiadita e confusa della sinistra. Alle ultime primarie non sono andato. Però alle elezioni voto, voto sempre: è un dovere. Però oggi credo che dire “di destra ” o “di sinistra” cominci ad avere poco senso. Mentre “vocazione minoritaria” ne ha, paradossalmente, molto.

Farebbe un film politico?

Sorrentino con “Il Divo” c’è riuscito benissimo. È stato un genio perché ha trovato una chiave quasi “psichedelica”. Ma che film politici si possono fare in Italia? Quando ogni sera, in tv, c’è una riunione condominiale da commedia all’italiana… Siamo il Paese delle grandi inchieste televisive, fatte molto bene. Ma con un problema: che i finali sono e resteranno sempre pirandelliani.

A proposito di politica: tutto bene o qualcosa, in Italia, la mette a disagio? Lo sente il clima di guerra civile?

Sento un Paese diviso in tante parti . E sento che nessuno fa il vero bene del Paese e che tutti badano al loro partito, partitino o coalizione. Troppi giochi di prestigio tra le solite figure. E intanto non si intravede l’ombra di un ricambio generazionale. Un problema da niente…

Vizi. Frase di Nancy Brilli: “Verdone ti sa dire a memoria la composizione di qualunque ritrovato medico”. Però le è valso una laurea honoris causa in medicina…

Molti scambiano, ma sbagliano, la mia grande passione per la medicina con l’ipocondria. Mi urta molto. A Napoli sono stato interrogato su tre patologie e dopo averle azzeccate ho suggerito la cura farmacologica perfetta. Ma alla fine è stata più una festa divertente per duemila studenti nella grande aula magna alla Federico II di Napoli. La sera mi piace aggiornarmi su libri o su siti seri di congressi medici. È una passione vera la mia!

Miti: Moretti in senso dispregiativo disse “Ve lo meritate, Alberto Sordi”.

Grande battuta di Nanni. Visti i tempi odierni penso che avesse perfettamente ragione…

Cinema: che pensa della polemica sul cinepanettone d’essai? De Sica è un suo vecchio amico, però Natale a Beverly Hills è davvero un’infilata di volgarità.

In effetti il marchio d’essai lascia basiti. Ma a ma quello che fa paura è un’altra cosa e cioè che rischiamo di diseducare un pubblico popolare al racconto cinematografico complesso, di qualità. L’abuso della parolaccia alla fine è il segnale che si teme di aver fatto un film debole. E allora gli dai dentro. Ma Christian non ne avrebbe bisogno. In Totò e Peppino non esisteva l’ombra di nessuna volgarità: per questo resteranno immensi.


Sergio Leone a proposito di lei: “Carlo parlava, parlava, parlava, riproponendo il divertente standard sordiano degli anni ‘50 con disinvolta reiterazione. Un attore che non apparteneva a un “genere” ma solo a se stesso”. Poi però le diede un ceffone sul set di “Un sacco bello”.

Vuol sapere la verità? Neanche io ho capito bene le mia potenzialità espressive e fisiche e mi sembra un vero miracolo quello che mi è successo nella vita. Certamente di fronte al pubblico esce fuori, per magia, un altro Carlo. Perché il Carlo privato è molto timido. Quando vedo certi miei film mi sembra di vedere un’altra persona con un coraggio da matto. Ma molti comici sono stati o sono come me o anche peggio. Sordi, per esempio, nel privato era molto austero. Sì, Leone mi ha menato tre o quattro volte perché non seguivo quello che voleva.Ma erano sberle di un padre che voleva molto bene al figlioccio. La smise quando un giorno anziché prendermi il sedere prese con un calcio lo spigolo di un mobile. E camminò a lungo con una ciabatta.

“Io, Loro e Lara” apre il 2010. Cosa si aspetta dal cinema italiano per quest’anno?

Ho la sensazione che sarà un’annata buona e ricca anche di qualità. Io ho toccato un bel tema, vero, attuale. E nel finale un piccolo, importante messaggio c’è. Io ho fatto con estrema sincerità quello che volevo. Ora la palla passa al pubblico. È’ lui il giudice supremo.

Da Il Fatto Quotidiano del 31 dicembre 2009