Sarkozy promise di “ripulire” i quartieri, ma ancora oggi regnano disoccupazione, povertà e disagio giovanile
di Gianni Marsilli
Quattro anni fa la grande fiammata, le banlieue in rivolta, i roghi di scuole, palestre, arredi urbani, autobus, macchine, le battaglie campali e notturne con squadroni di gendarmi anti-sommossa, intorno a Parigi, Tolosa, Lione, Strasburgo.
Durò tutto l’autunno del 2005, se non ci scappò il morto fu un vero, grande miracolo. “Parigi brucia”, titolava la stampa mondiale, mentre scopriva attonita un esercito di francesissimi adolescenti incappucciati, neri e maghrebini, che teneva in scacco il generale Sarkozy, all’epoca ministro degli Interni, quello che li aveva insultati promettendo di “ripulire” quei quartieri come si pulisce una stalla o un bagno, con spazzoloni e secchiate di varechina. Da allora le banlieue non aprono più i titoli dei tg stranieri, a malapena fanno capolino in quelli nazionali.
Ci vuole uno studente che ne ammazzi un altro perché irrompano sulla scena, o una sparatoria tra bande rivali, o un insegnante accoltellato durante l’ora di matematica, cose così. Drammi domestici puntuali come una tortura cinese, giusto per tenere viva la memoria e l’attenzione: dall’autunno 2005, infatti, nulla è cambiato. Sociologi, insegnanti, operatori avvertono: l’incendio non è spento, il fuoco cova sotto la cenere.
Il fronte, come su una carta militare, corre ai bordi delle Zus, acronimo che sta per “zone urbane sensibili”. Sono 470, comprendono quattro milioni e mezzo di abitanti. Ad occuparsene, Sarkozy ha avuto l’accortezza di chiamare una che in quei quartieri è cresciuta, che di quei ragazzi conosce il gergo, la ruvidezza, la confusa e grandissima vitalità: Fadela Amara. L’ha fatta ministro con la missione di togliere carburante al serbatoio della violenza, di introdurre progetti di lavoro, sport, socialità, civismo.
Ma un mese fa l’osservatorio nazionale che si occupa delle Zus ha fornito il suo responso: l’universo delle banlieue è sostanzialmente immobile, come cinque, come dieci anni fa. Anzi, va anche peggio.
Qualche cifra per capire. La prima, un’onta per il paese: il 44,3 per cento dei minori di 18 anni che risiede nelle Zus vive al di sotto della soglia di povertà, fissata a 908 euro mensili per famiglia. In totale, il 33 per cento dell’intera popolazione delle Zus è sotto i 900 euro al mese, contro il 12 per cento della media nazionale. La disoccupazione è aumentata, anzi esplosa già nel 2008, alla vigilia della crisi economica: 17,9 per cento, il doppio che nel resto del paese. Ma c’è di peggio, di più infido e cancerogeno: il 41,7 per cento dei maschi tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro. Non va più neanche a scuola, semplicemente ciondola.
Ciondola per le strade, sulle scale dei casermoni, alla Gare du Nord, attorno al supermercato. Ciondola senza arte né parte, si scatena a date fisse, il 31 dicembre e il 14 luglio, festa nazionale, bruciando decine di migliaia di automobili: 40 mila l’ultima notte di Capodanno. Risplende come una luce in fondo al tunnel una percentuale che svela un universo dal percorso ancora carsico, indecifrabile: l’occupazione delle ragazze della stessa età, dai 15 ai 24 anni, è in netto aumento. Nel 2009 è passata sotto la soglia del 30 per cento, e il trend continua ad essere positivo.
Padroni e padroncini, evidentemente, si fidano di più, mettono in prova, assumono. Non portano il cappuccio, le ragazze, e guardano con distanza alle esibizioni machiste dei loro coetanei. Ma il futuro, sfortunatamente, non può declinarsi soltanto al femminile.
Fadela Amara si difende, chiede fette di bilancio più consistenti, rivendica cantieri di rinnovamento urbano, episodi di rilancio economico qua e là, pungola il premier François Fillon che ha promesso “una larga concertazione” per il 2010. Ma nel frattempo le banlieue languono, s’intristiscono, s’incattiviscono. Non tutte, ma troppe per considerare rimarginata quella ferita aperta negli anni ’60, quando la Francia chiese braccia muscolose e a poco prezzo per il suo rilancio industriale. Quelle braccia non servono più da un paio di generazioni.
E’ una storia d’immigrazione, come quella di Rosarno anche se di genesi, drammaturgia e sociologia molto diverse. Anche perché nelle banlieue si vive male, malissimo, ma si vive. Si è mal-trattati dalle pubbliche autorità, ma si figura sempre all’ordine del giorno di tutti i governi, di destra o di sinistra che siano. In quell’ex oleificio calabrese invece no, non si vive. E le pubbliche autorità della penisola non si pongono il problema, se non in termini di “immigrati clandestini”.