Nel 1988, un anno dopo il cambio di cavallo politico dalla Dc al Psi, una parte di Cosa Nostra pensava alla dissociazione, forse prefigurando, come ha detto il pentito Nino Giuffrè, esiti tragici.
Un’ importante conferma alle parole di Nino Manuzza arriva oggi da Massimo Ciancimino che rivela come in quel periodo suo padre parlasse degli aspetti giuridici della dissociazione con il suo difensore, il professore Virgilio Gaito, e, successivamente, di quelli operativi, con il boss Pippo Calò, con il quale era rinchiuso nel carcere di Rebibbia.
La dissociazione è il chiodo fisso dei corleonesi e finisce anche nel “papello’’ di Riina. Ma don Vito, che ben conosceva gli effetti della proposta, parlando con Massimo, prendeva in giro il boss: “È così cretino – ha raccontato Ciancimino jr, riferendo le parole del padre su Riina – che nello scrivere questo punto non si rende conto che sarebbe la fine dell’organizzazione Cosa Nostra”.
L’argomento era “caldo” in quei giorni, visto che di dissociazione si parla sui giornali nel luglio del ’92, poco prima della strage di via D’Amelio: C’è un’intervista all’onorevole Martelli che tanto critica questa cosa”, rivela Massimo Ciancimino. Pochi anni dopo il papello la “dissociazione” dei mafiosi viene codificata in un disegno di legge presentato dal senatore del Ccd Rino Cirami, originario di Agrigento.
E Ciancimino jr chiosa: “Mio padre si è messo a ridere quando hanno nominato l’onorevole Cirami ad Agrigento e, unica cosa, gli hanno fatto fare il decreto legge”. Risate giustificate dal fatto che quel testo, racconta Massimo, venne fatto pervenire da Marcello Dell’Utri a Provenzano, che lo girò a suo padre. Il quale, “della dissociazione parlò in carcere con Calò a Rebibbia, ne parlò tante volte di questo”.
Da Il Fatto Quotidiano del 13 gennaio