Ho letto sui giornali molti articoli su Craxi: non tutti perché è una inondazione. Quanti lo hanno rimesso sugli altari, che l’avevano buttato nella polvere! E non solo a sinistra (qui la revisione è cominciata da un pezzo) ma anche a destra. Ricordo la campagna di quel settore contro il leader socialista: oggi invece si propongono strade, piazze, giardini dedicati a lui. Craxi sarebbe lieto del paragone con Garibaldi – che era il suo vate – meno di quello con Giordano Bruno – lui era laico! – paragoni fatti con scarso rispetto della storia da Letizia Moratti. Ma di tutti, il giudizio che mi ha lasciato esterrefatto è stato quello di Ripa di Meana. Poiché io non ho cambiato opinione rispetto al libro scritto con il direttore di questo giornale vorrei ripeterla con qualche aggiornamento.
Il personaggio va discusso come leader politico o come caso giudiziario? Questo secondo aspetto si presta a poche discussioni poiché le sentenze sono definitive e non è in corso alcun processo di revisione. Però le sentenze non sono la verità: i giureconsulti romani dicevano del giudicato “pro veritate habetur”.
Ma sull’aspetto giudiziario del caso Craxi vi è un altro argomento che vale soprattutto oggi, poiché col tempo molti e autorevoli personaggi hanno visto quanta “politica” (o persecuzione) è entrata in quella vicenda giudiziaria e hanno denunciato “l’uso politico della giustizia” che ha trasformato episodi di finanziamento illecito del partito (ammessi pubblicamente da Craxi nelle aule dei tribunali e nell’aula della Camera) in reati ben più gravi. Oggi credo che l’opinione pubblica si ribellerebbe a una incriminazione con l’argomento “non poteva non sapere”, argomento che è un’offesa al principio della responsabilità personale dell’inquisito. E poiché, in proposito, su questo giornale, è stato sollevato il caso dell’Enimont cito dalla sentenza di condanna di Craxi: “Si può anche dar atto a Craxi che in questo processo non è risultato né che abbia sollecitato contributi al suo partito né che li abbia ricevuti a sue mani, ma questa circostanza – che forse potrebbe avere un qualche valore dal punto di vista per così dire estetico – nulla significa ai fini dell’accertamento della responsabilità penale” (Massimo Pini,“Craxi”,Mondadori,p.640). E faccio solo tre nomi di autorevoli personaggi che hanno scritto recentissimamente sull’uso politico della giustizia: Oscar L. Scalfaro (“Quel tintinnar di vendette”), Luciano Violante (“Magistrati”) e Sergio Romano sul Corriere della Sera del 7 gennaio 2010.
Ma io volevo intrattenermi soprattutto sul leader politico il quale interessa la vita pubblica perché con la sua azione ha contribuito in bene o in male alla storia del paese e dell’Europa. Craxi è stato un politico di alto livello e intelligenza. Un leader dotato di carisma, uno “strong man” (Economist), molto popolare (65% dei consensi come capo del governo). Non dimentichiamo la “grande riforma” balbettata ancora oggi dalla classe politica. Ecco alcuni titoli di merito. In contrasto con la Thatcher ottiene di avviare l’Europa verso quello che sarà il Trattato di Maastricht e riesce a far entrare l’Italia nel club dei paesi più industrializzati. Aiuta con i fondi “illeciti” i socialisti cileni, i palestinesi di Arafat, il “dissenso” russo. Contribuisce con lo spiegamento dei missili della Nato sul territorio italiano all’equilibrio nucleare e alla difesa dell’Europa; difende la sovranità italiana in contrasto con gli Stati Uniti a Sigonella; si batte per la salvezza della vita di Aldo Moro; riduce l’inflazione col taglio della scala mobile.
Ma non voglio tacere le critiche al suo operato: quelle che gli ho fatto spesso (e una volta mi ha zittito e apostrofato in direzione e io ne sono uscito) e che sono quelle che gli faccio oggi in sede storiografica.
Ha fatto tre errori fondamentali. Sin dall’inizio della sua segreteria avrebbe dovuto porre alla Dc e al paese il problema di un adeguato finanziamento della vita dei partiti insieme con un penetrante controllo esterno dei bilanci. Gliel’ho proposto più volte, con l’argomento che i cittadini avrebbero accettato il finanziamento dei partiti se accompagnato da severi controlli. Lui mi ha risposto che gli altri partiti rifiutavano controlli seri. Era vero: sia Piccoli che soprattutto Cossutta li esclusero categoricamente. Ma Craxi potevafareunagrandecampagna sull’argomento. Non la fece, anzi lasciò il Psi nelle mani di boiardi e vice boiardi di Stato, di assessori, di portaborse e… altro. Ha conquistato e mantenuto a lungo la guida del governo ottenendo, dopo la breve presidenza Spadolini, l’effettiva pari dignità con la Dc. Cosa molto importante. Ma al governo ha fatto grandi iniziative e poche riforme significative: a differenza del centrosinistra con Nenni solo vicepresidente. Arroccato nel recinto del potere non ha avvertito l’ondata referendaria (defluita peraltro – eterogenesi dei fini della storia – sui lidi berlusconiani). L’errore più grave fu la cosiddetta “unità socialista” che non fu una politica convinta di unità della sinistra. Non posso dire se il Pci di Occhetto – che vi si dichiarava ostile – sarebbe stato alla fine indotto – nella crisi del comunismo – ad accettare l’unità col Psi nel nome di quei valori socialisti che emergevano vincenti dalle rovine del Muro di Berlino, e con la finalità di costruire l’alternativa alla Dc. Posso però dire che Craxi non ha perseguito seriamente questa strategia.
Ovviamente sono soddisfatto se oggi si rivaluta l’eredità di Craxi. Ma mi duole che la beatificazione sia opera soprattutto di coloro che lo hanno lapidato da destra con pietre grosse come quelle scagliate da sinistra. E’ un’offesa a Craxi che non aveva nulla a che fare con quel mondo perché era socialista.
da Il Fatto Quotidiano del 13 gennaio 2010