Èvero. Con Giuseppe Tamburrano firmammo insieme un libro dal titolo “Processo a Craxi”, piuttosto burrascoso in quanto, nell’esaminare l’ascesa e il declino dell’ex leader del garofano, lui ed io pur essendo amici da una vita non ci trovammo praticamente d’accordo su nulla. Sono passati 17 anni e il nostro dissenso mi sembra immutato, tranne che su un punto. Nel considerare con identico disgusto i tanti saltimbanchi che dopo aver leccato gli stivali del “cinghialone” (come lo chiamava e non lo chiama più Vittorio Feltri) lo lapidarono allegramente, salvo oggi recarsi in pellegrinaggio ad Hammamet per fare cosa gradita a Berlusconi, il grande erede del grande latitante. Anch’io un tempo pensai che forse Craxi poteva essere una novità positiva per la politica italiana. Era il ‘76, l’anno del Midas e della sua elezione alla segreteria del Psi. Ero un giovane cronista del Corriere della Sera e non posso dimenticare quegli anni di grande conformismo nei quali la borghesia italiana sembrava letteralmente ammaliata dall’avanzata comunista. Un esempio di quella sorta di preventiva sottomissione si può cogliere in una foto forse ancora conservata negli archivi dei giornali. Il grande maestro Severino Gazzelloni che suona il flauto per Enrico Berlinguer e la nomenklatura del partito sotto il grande palco rosso innalzato in una gremitissima piazza San Giovanni. Davanti, per esempio, a un Amendola che teorizzava l’assorbimento da parte del Pci di quanto c’era di buono nella storia del Psi, l’irruzione di un irregolare come si presentava allora Craxi apparve sicuramente come una salutare scossa per la sinistra italiana. Peccato che quasi subito il nuovo leader evitò perfino di pronunciarla quella parola, “sinistra”: come se fosse una bestemmia. Comportamento abbastanza simile a quanti oggi nel Pd sembrano provare la stessa ripulsa davanti alla parola opposizione.
Dopodiché di Craxi conservo solo ricordi sgradevoli. Non posso dimenticare la vera e propria aggressione condotta da lui e dai suoi sodali contro Alberto Cavallari che aveva salvato l’onore del Corriere della Sera trascinato nel fango piduista. Cavallari è stato un grande e coraggioso direttore che non arretrò mai, neppure davanti a una guerra civile interna al giornale scatenatagli contro dalle quinte colonne craxiane. A lui dovrebbe dedicare una strada il sindaco di Milano e non a chi lo fece cacciare da via Solferino e lo trascinò in giudizio solo perché in un editoriale dedicato alle tante ruberie di socialisti che già venivano a galla, Cavallari osò scrivere che tra i ladri e i carabinieri il Corriere sarebbe sempre stato dalla parte dei carabinieri. Ma non è certo per fatto personale (e di fatti personali ne avrei da raccontare sulle pressioni dell’allora presidente del Consiglio sulle proprietà dei giornali per mettere in riga i cronisti poco in linea) se allora come oggi considero inaccettabile l’interrogativo se Craxi vada discusso come leader politico o come caso giudiziario. Ma che razza di leader politico può essere un caso giudiziario?
Quanto poi alla tesi del povero Bettino “perseguitato” su storie di finanziamento illecito del partito, unico pollo a farsi incastrare tra i tanti che razzolavano male, bè lasciamo perdere. Craxi ha intascato fior di tangenti miliardarie come dimostrano le testimonianze di chi gli portava direttamente il malloppo a casa (Silvano Larini). Soldi che poi finivano sui conti svizzeri del perseguitato. Altro che accuse basate sul “non poteva non sapere”. Veniamo infine ai presunti meriti politici di Craxi. Mi sembra di tornare a tanto tempo fa, alla mia adolescenza, quando sentivo parlare del Mussolini “buono” da qualche mio compagno di scuola che regolarmente se ne usciva con la tiritera della bonifica delle pianure pontine per giustificare i presunti meriti della dittatura. Grande consolazione, le bonifiche, per un paese poi raso al suolo dalla follia del suo duce. Craxi non è Mussolini ma a che serve cercare qualche merito sparso quando a causa di una politica rapace e attenta solo agli interessi del proprio clan si sono buttati a mare gli ideali di tanti socialisti perbene? Come Giuseppe Tamburrano a cui tuttavia forse mi unisce la consapevolezza che se, allora, la politica non avesse lasciato dietro di sé malcostume e tangenti il nostro Paese non sarebbe caduto nelle mani di chi sappiamo.
da Il Fatto Quotidiano del 13 gennaio 2010