“Lavoro e dignità sono due parole che in un paese civile dovrebbero coincidere. Da noi ormai la dignità coincide solo con la disperazione”. Dopo 54 giorni di protesta pacifica sul tetto, i ricercatori dell’Ispra si sfogano durante una gremita assemblea. Bisogna spingere per riuscire a farsi largo nella sala convegni della sede di via Casalotti a Roma, dove oltre cento persone ascoltano i commenti alla situazione occupazionale degli scienziati dell’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale.
Lunedì scorso il ministero dell’Ambiente ha aperto un tavolo di trattativa per verificare la possibilità di non disperdere un patrimonio scientifico di enorme importanza. Ma per ora all’Ispra non è arrivato né il verbale della riunione, né la convocazione per il prossimo incontro. E’ proprio questo silenzio che ha convinto i ricercatori, dopo una lunga discussione, a non lasciare il tetto. “Non scenderemo fino a quando non ci sarà almeno un protocollo d’intesa – dice Umberto Scacco, precario Ispra da 11 anni, esperto di biologia della pesca e statistica – è vero, il freddo si fa
sentire, ma se interrompiamo la
protesta non avremo più la possibilità di fare questo lavoro”.
“Mo’ basta! Dobbiamo dirglielo a questo ministro. Non ci possono trattare come lavoratori di serie B” grida al microfono Andeka de la Fuente Origlia, tecnico del laboratorio chimico. La tensione è alta, ma si guarda avanti: “Ieri è venuto sul tetto il deputato Pdl Fabio Granata, a dimostrazione che la nostra non è una questione politica ma solo di buon senso – racconta Massimiliano Bottaro, precario Ispra da 6 anni – poi aveva in previsione un colloquio col ministro, speriamo ci porti buone notizie”. La Prestigiacomo, infatti, non ha mai concluso l’audizione con la commissione Ambiente della Camera, interrotta un mese e mezzo fa, durante la quale le erano state rivolte anche domande sulla situazione dell’Ispra. Al netto della protesta, i ricercatori hanno ottenuto che i contratti a tempo determinato (quindi restano fuori i progetti, gli assegni, ecc.) verranno prolungati di un anno. Cosa che non è successa agli oltre 200 studiosi rimasti a casa a giugno.
da Il Fatto Quotidiano del 16 gennaio 2009