di Maurizio Chierici
Sandro Pertini era simpatico, non sempre con i giornalisti. Nel luglio ‘74 Roma preparava le vacanze, ma il Pertini presidente della Camera minaccia di tenere aperta Montecitorio fino a quando non salta fuori l’elenco di tutti i politici ai quali i petrolieri hanno pagato tangenti.
Prezzo della benzina da gonfiare. La bomba era scoppiata a Genova e il gioco delle illazioni moltiplica per mesi i sospetti da un partito all’altro. Anche perché l’incorruttibile Ugo La Malfa confessa di aver intascato un po’ dei 40 miliardi che hanno chiuso in galera Vincenzo Cazzaniga, vecchio presidente dell’Unione petrolifera. Mentre gli onorevoli sono pronti per mare e montagna, Pertini punta i piedi: vuole tutta la verità. Il massacro deve finire altrimenti non si parte.
Ecco che Il Borghese (settimanale Msi ) aggiunge un sospetto in più, proprio quel Pertini furioso che rovina l’estate ai poveri deputati. Sbalordimento, mormorii, eppure con tanto fumo l’arrosto deve essere da qualche parte. Nessun giornale prova a capire cosa nasconde la lapidazione.
Stavo lavorando a Roma, telefona Barbiellini Amidei, vicedirettore del Corriere della Sera. Piero Ottone chiede di far chiarezza: Pertini colpevole o innocente? Cerco, ascolto e alla fine metto in fila voci e documenti che smascherano l’invenzione dispettosa. Alle 8 del mattino mi sveglia il telefono: "Sono Sandro Pertini, il suo giornale è l’unico a smontare la buffonata". Fa piacere cominciare il giorno così. Ne parlo con Milano e la direzione suggerisce di provare un’intervista visto che Pertini rifiuta la domanda: davvero non chiuderà Montecitorio?
Chiamo il presidente; voce squillante: "Per il momento preferisco il silenzio, ma se mi viene a trovare, è un piacere". Ricomincia con ringraziamenti e amarezza. "Ma adesso preferisco tacere. E se proprio devo spiegare non parlerei mai con lei, né con altri del Corriere. Mi avete difeso, insomma, un favore. Sarebbe disonesto dirlo proprio a voi che siete dalla mia parte". 36 anni dopo, una sera a guardare la tv. Come siamo cambiati.
Da Il Fatto Quotidiano del 20 gennaio