Il Giorno della Memoria nel lager polacco, con gli studenti delle scuole superiori di Modena.

Auschwitz: nonostante l’elettrochoc a corpi e anime, il dolore non arriva. Almeno non subito: aspetti una lacrima, almeno una, cerchi di ascoltare ma niente. La sofferenza non si insegna e non si induce, nemmeno se stai nel luogo simbolo del male, dove si cammina a venti gradi sotto zero sopra il cimitero di ossa più grande del mondo, Birkenau. E il senso di colpa per sentire più freddo che dolore non va via.

GITA E DESTINO

Il treno della memoria è partito puntuale lunedì pomeriggio dalla stazione di Carpi,da dove iniziò anche il viaggio di Primo Levi e di tutti i catturati smistati nel campo di Fossoli. Negli scompartimenti ci sono 580 studenti delle scuole superiori della provincia di Modena, accompagnati dagli insegnanti e dagli ospiti: gli storici Costantino Di Sante e Carlo Saletti, gli scrittori Carlo Lucarelli e Paolo Nori, i musicisti Vinicio Capossela, Cisco, il gruppo dei Rio. Non è l’Orient Express, è un treno misero che avrà almeno vent’anni con l’elettricità che salta, alcuni scompartimenti senza riscaldamento e pezzi di sedili di simil pelle che si staccano. Ma è vietato lamentarsi, chi viaggiava su queste rotaie non aveva solo freddo, fame e sete: stava per perdere molto più della vita. Quindi oggi nessuno fiata, perché tutti hanno dentro l’inadeguatezza, sei solo un essere umano davanti al manifesto mondiale della malvagità. Due ragazzi si domandano ad alta voce: “Oh, ma come facevano a non morire di freddo gli ebrei?”. Risposta: “Vivevano”. Citazione inconsapevole di Vasilij Grossman, che in Vita e destino fa dire a una madre ebrea nell’ultima lettera al figlio: Vivi, vivi, vivi. Vivi per sempre. C’è un vagone per i bagagli con la neve dentro e bisogna attraversarlo per andare alla carrozza ristoro,il posto dove ci s’incontra, ci si scalda con il caffè bollente preparato dai ragazzi del Fuori orario di Gattatico, si ascolta chi ha studiato e sa, si canta. Gli studenti sono in gita scolastica e si vede. Le gite scolastiche non cambiano mai, da Pupi Avati fin qui, in un trionfo di magliette improbabili, mazzi di carte, iPod, sms, moon boot, improvvisi scoppi di risate e noiosi rimproveri dei prof. Il treno fa mille fermate anche se non deve caricare nessuno, fuori sfilano centinaia di chilometri di bianco a perdita d’occhio. Naturalmente la notte è interminabile e senza sonno, o quasi. Non solo per la cuccetta.

VERGOGNA AL MUSEO

Ad Auschwitz è il Giorno della Memoria, nel 65esimo anniversario della liberazione del campo: corone, capi di Stato, visite ufficiali, centinaia di persone, lingue diverse che si mischiano ora come allora.L’insegna Il lavoro rende liberi è finta perché quella originale la stanno restaurando: l’abbiamo vista mille volte, come i binari del campo di sterminio. Tante volte che adesso non sappiamo se stiamo guardando un film sul lager o il lager. Si attraversa Arbeit macht frei con l’auricolare nelle orecchie e una voce che spiega geografie, morti, numeri, treni, come si organizza uno sterminio. La visita ad Auschwitz 1, il campo di lavoro, inizia presto. Qui c’è il museo, dove è stato raccolto tutto quanto è sopravvissuto. La guida “parlante italiano” fa una gran fatica,nello slalom tra gruppi che si stipano nelle baracche. Il tour nella prigione del campo si svolge ordinatamente e in fretta, con sinistra efficienza: “Ecco la cella dove morì padre Kolbe, che offrì la sua vita al posto di un altro prigioniero. State sulla sinistra per favore. Più avanti le prigioni dove i detenuti venivano internati e costretti a stare in piedi, guardate il crocifisso inciso con le unghie. Non sostate troppo a lungo. Signori, seguitemi al muro delle fucilazioni”. Al block 4 le stanze sono piene di avanzi di esistenze. Sono foto conosciute e adesso oggetti in una teca trasparente. Due tonnellate di trecce e code, vicino uno scampolo di stoffa e una didascalia: tessuto prodotto con capelli umani. Poi mucchi di scodelle per la zuppa, valigie e calzature. Nella teca delle scarpe dei bambini ce n’è una bianca e un po’ rotta che si fa vedere più delle altre, forse perché è lunga pochi centimetri ed è la misura di un morto minuscolo. Uno dei 240mila passati per questi camini, come i bimbi zingari di Mengele, ritratti nudi, niente sotto la pelle, spaventati prima dell’iniezione di fenolo nel cuore. I ragazzi dell’Iti si vergognano un po’ perché avevano detto loro che sarebbe stato sconvolgente e invece stanno bene. Carlo Lucarelli è una delle guide dei sottogruppi ed è bravissimo: sembra di vedere una puntata di Blu notte e gli studenti stanno lì a bocca aperta. Nel corridoio immagini di donne e uomini appena arrivati, immatricolati, rasati, ma ancora in forze. Sulle didascalie ci sono la data di nascita, di arrivo e morte. E dalle facce s’indovina, in un quiz macabro, quanto sarebbero durati. Troppo sgomenti o vecchi per sopravvivere più di un mese, ancora in forze per lavorare almeno un anno. Hanno occhi che si sovrappongono, increduli e intimoriti, comunque altrove. Padre Wrosoz Ceslaw, classe 1917, internato il 4 settembre 1941 e morto il 5 febbraio 1942, è tra i pochissimi che spara gli occhi nella camera ediceguardami.Giulia da Modena sta davanti a lui finche può, prima che la sua prof la vada a recuperare perché gli altri sono già altrove.

PALLE DI NEVE A BIRKENAU

All’ingresso del campo inventato per la soluzione finale c’è la security, si sta in fila in attesa di poter entrare. I polacchi sono alti e grossi, non esattamentecordiali.Unadelegazionedifrancesiciprecede: sono i “militanti della memoria”, i figli dei deportati.Birkenau vuol dire “paese delle betulle” e infatti è un posto bellissimo, anche se è ricopertodighiaccio.Tre bambini giocano a palle di neve, e allora ci si domanda: si può giocare dove si moriva, si può ridere dove si torturava? E’ un dubbio che resta, ma non è la retorica o la forma che conservano la memoria sottovuoto e preservano dal “non deve succedere più”. Sfilano le delegazioni e letelevisioni,le corone e gli striscioni, ci sono fuochi ai bordi del sentiero perché il freddo paralizza. Ognuno bada a sopravvivere: ci si maledice per aver prestato un paio di calzini e si bada più a non perdere i guanti che a guardare. Il sole sta pericolosamente andando via mentre iniziano le celebrazioni, che hanno le stesse parole di sempre: dovere del ricordo, pietà per i morti di una morte e di una vita inumane. Qui sotto c’è una falda acquifera, spiega il professor Saletti a un capannello di coraggiosi, e nelle stagioni piovose l’acqua fa risalire le ossa. “E allora si vede l’erba luccicare e tutti pensano sia rugiada, ma sono frammenti di ossa che risalgono. Così accade il paradosso della memoria: i pellegrini camminano sulle ossa degli uomini che Hitler voleva annientare e così distruggono anche quel che resta di loro”. Ma si viene qui il 27 gennaio, forse perché il gelo disumano produce empatia, che però è solo una parte della comprensione. Se non funziona il cervello, il cuore non basta a capire. Ai lati del campo ci sono le baracche di legno degli internati:leconosciamogiàperchéabbiamovisto molti film ambientati qui. All’ingresso è quasi impossibile trattenere un segno della croce che non ha spiegazioni: omaggio, rispetto, compassione, scusateci. Il sole entra dalle finestre e disegna ombre colorate di rosso. Una ragazzina di Carpi scavalcando l’apparecchio ai denti, dice: “Sembra la luce di quando si torna da sciare”. Infatti è la stessa e non c’è niente di sbagliato in questa frase con il sorriso metallico.

MONDINE ROCKSTAR

Quasi ogni minuto della visita è programmato. Anche la sveglia, ore 6 e trenta con la tv che si accende o il telefono che suona. Dopo cena ci sono le attività, laboratori di scrittura, conferenze e concerti. Al cinema di Cracovia, la sera della musica inizia con Vinicio Capossela. Un recital di voce roca e profonda, interpretazione intelligente, sofisticata e compiaciuta di musica e testi: da Primo Levi il deportato a Celine l’antisemita. Quando Cisco sale sul palco con il tamburo scalda i ragazzi, stanchi e intimoriti dall’esibizione di Capossela, comunque conclusa con le parole di Ovunque proteggi: Mi spiace se ho peccato, mi spiace se ho sbagliato. Se non ci sono stato, se non sono tornato. “Ovunque proteggi, proteggimi nel male. Ovunque proteggi la grazia del tuo cuore”. Non sono passati dieci secondi dall’inizio di Cento passi, dedicata a Peppino Impastato, che Cisco è già sudato e la platea scatenata: “Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore”. Poi salgono sul palco le mondine di Novidi Modena. Le ragazze canterine, età media sui sessanta, volate fin qui – gonnone di velluto, scarpe da nonna, le mani rovinate dall’acqua e dal lavoro, unaforzadifficiledadescrivere-perportareicanti degli ultimi. “Siamo lavoratori … siam le proletarie sfruttate”. E una poesia: “Abbiamo fatto un mazzetto di riso, perché quello che sappiamo fare, con il gelo e la cenere. La lotta noi l’abbiamo vissuta e ora tocca a voi, che siete il futuro”. Il finale è Bella ciao in versione risaia(“Il capo in piedi col suo bastone o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao, il capo in piedi col suo bastone e noi curve a lavorare”), poi quella del fiore del partigianomortoperlalibertà.Tuttoilcinemainpiedi ad applaudire e un coro da stadio traslocato e tradotto per l’occasione: la mondina, una di noi. Finalmente sciolti. Al bar dell’hotel si affollano birre, shot di vodka e domande. Gli studenti di Modena sequestrano Cisco e i Rio per un discorso sulla felicità,che vada Schopenhauer ai lager,dalloscopo della vita fino a Dio, a dov’era Dio mentre tutto questo e molto altro accadeva. A come soffrire per qualcosa di mostruoso ma successo tanto tempo fa. Se bisogna capire o emozionarsi. Alle tre non ci sono risposte. Domani è ancora Birkenau, un giorno meno affollato di oggi, di fiaccole e silenzi. E forse la tregua del più desiderato tra i dolori.

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Link:

Diario 1,Il gelo del silenzio

Diario 2,Unici e Uguali

Diario 3, Pensieri sulla neve

Diario 4, Ceneri nella pianura

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