Società

Il gelo del silenzio

Ventisei dicembre, ancora in viaggio. Le prime ore di oggi mi hanno vista seduta su una cuccetta, schiacciata sotto il soffitto di un treno in corsa a parlare di Dio. Il sonno è stato solo un breve preludio alla scoperta di essere lanciata tra spazi vuoti e bianchi nel silenzio della pianura. Ne sono separata da una lamiera, ma è così diversa l’aria amica del treno. E’ un’atmosfera che ospita i tentativi un po’ goffi di qualcuno che ai tavoli cerca di esorcizzare il pensiero della nostra meta, e i tentativi altrettanto goffi di qualcun altro che cerca di non farlo. Quest’atmosfera fluisce nell’aria polacca as\sieme al bordello di bagagli che si incolonna nella stazione; è la stessa atmosfera di quella comunanza che centinaia di persone nel treno hanno esercitato; ha parificato tutti nei disagi e nelle risate e poi tutti ha parificato nelle parole. Tra le tante questioni in lista d’attesa una mi rimane: cosa sta tra cultura e totalitarismo? Non stiamo facendo forse cultura noi qua? Dove la stiamo applicando? 28 dicembre, dopo Auschwitz e Birkenau. Adesso le dita si fermano esitanti sui tasti della tastiera, come questa mattina le parole, i pensieri e i sentimenti stessi si sono congelati nella bufera di neve. Eppure è necessario che le parole vengano pubblicate e lette. E allora? E allora si fa violenza a se stessi e si tenta di esprimere almeno la necessità di un silenzio pudico. Almeno per un po’.

Rebecca Righi, II a Liceo Classico L. A. Muratori, Modena