Striscioni del gruppo di destra davanti alle fabbriche. Oggi lo sciopero
E’ accaduto in tutta Italia nella notte fra lunedì e martedì, ma vederlo a Torino, di fronte ai santuari della Casa madre, fa un certo effetto. Non certo perché striscioni appesi all’ingresso principale di Mirafiori in corso Agnelli, o del Lingotto in via Nizza, siano una novità. Più che altro è la firma accanto a quel “La Fiat odia l’Italia” issato sui cancelli a incuriosire: “Casa Pound Italia”, network sociale di estrema destra, che – partito da Roma – ha oggi sedi un po’ dappertutto.
Scavalcati a sinistra. Passi per la timidezza del Partito democratico di fronte all’annuncio della cassa integrazione e della chiusura di Termini Imerese e Pomigliano d’Arco, ma se anche sul piano dell’antagonismo sociale si supera a destra, allora piove davvero all’insù: “La nostra è una provocazione – dichiara Marco Racca, responsabile piemontese di Casa Pound – ma con un obiettivo preciso. Che la Fiat decida di chiudere due stabilimenti in Italia lasciando a terra 30 mila persone è il frutto naturale di una politica di delocalizzazione attuata contro la classe lavoratrice italiana.
Perché la Fiat non è più un’azienda italiana, continua a produrre all’estero con manodopera a basso costo nonostante gli ingenti contributi statali, a partire dagli incentivi alla rottamazione, che ha sempre ricevuto. La verità è che se ne fregano”.
La soluzione? “Che fallisca pure”, recita il volantino distribuito di fronte a oltre 40 concessionarie in tutta Italia: “Con i soldi risparmiati tagliando le sovvenzioni – continua Racca – possiamo creare un’industria dell’automobile italiana al cento per cento. Un governo forte dovrebbe agire in questo senso. E invece le domande che sentiamo dai politici, di destra e di sinistra, sono sempre del tipo ‘cosa possiamo fare per salvare la Fiat?’. Adesso basta, che fallisca. La Fiat è contro l’Italia e noi siamo contro la Fiat, un’azienda da sempre a metà tra privato e pubblico, ma nella cui proprietà lo Stato non è mai voluto, o potuto, entrare”. Che fare degli stabilimenti destinati alla chiusura? “Siano sequestrati, nazionalizzati e affidati a Finmeccanica e Fincantieri“.
Sintonie. Se la soluzione finale rischia di apparire un po’ velleitaria, è pur vero che le critiche di Casa Pound alla politica Fiat, che produce in casa meno di un terzo delle vetture che vende in Italia, su alcuni punti non sono così dissimili da quelle dei sindacati: “Il fatto si commenta da sé – commenta Giorgio Airaudo, segretario provinciale della Fiom torinese – anche loro si sono accorti di quello che la Fiat sta facendo da 15 anni. Non è certo una novità ed è evidente che i ragazzi di Casa Pound ne approfittino per farsi un po’ di pubblicità. La soluzione ‘che fallisca’, però, è delirante. Un discorso del genere poteva avere senso nei decenni passati, quando si davano contributi a pioggia senza contropartite. Oggi è inutile recriminare su quanto si è dato alla Fiat ieri, il punto decisivo è capire come impegnare la Fiat domani. Il governo dovrebbe incalzare la Fiat, chiedere quale sia la sua idea di sviluppo, condizionarla a mettere in campo le risorse, di cui peraltro dispone, per un vero progetto di sviluppo dell’autoveicolo. Nel caso in cui si intavolasse una trattativa seria e ci fosse la necessità di mobilitare risorse pubbliche, che queste vengano poi restituite ai cittadini. Non è fantascienza, è quanto accade negli Stati Uniti dopo il maxiprestito di Obama per Chrysler. Questa sì che sarebbe una straordinaria novità”.
Osservazioni che non fanno breccia in Casa Pound: “Fanno ridere le critiche di sindacati che – replica Racca – hanno sempre meno seguito. Io lo so, ho lavorato in fabbrica. I lavoratori li hanno abbandonati, sanno bene che certe scelte dell’azienda vengono prese anche grazie ad accordi sottobanco con questi signori”.
Oggi i lavoratori della Fiat si fermeranno per quattro ore in tutti gli stabilimenti del Gruppo. Uno sciopero proclamato unitariamente dai sindacati dei metalmeccanici Fim–Cisl, Fiom–Cgil, Uilm–Uil, Fismic in vista dei prossimi incontri col governo e con la Fiat sul futuro di Termini Imerese.
Da il Fatto Quotidiano del febbraio