Nei documenti del Comitato parlamentare sui servizi segreti tutta la storia dei rapporti tra il leader dell’Idv e gli 007: loro erano gli spioni e lui lo spiato.
A ben vedere, finora, il mistero è soltanto uno: Il Corriere della Sera. Perché, martedì 2 febbraio, il solitamente prudente quotidiano della borghesia milanese ha deciso di dare tanto spazio in prima pagina a una vecchia fotografia del pm Antonio Di Pietro a cena con una serie di ufficiali dell’Arma e il numero tre del Sisde, Bruno Contrada?
Perché tanta rilevanza un articolo in cui sono riportate le tesi e le ricostruzioni di un avvocato, Mario Di Domenico, che da anni attacca Di Pietro, venendo puntualmente smentito nei tribunali?
Non che la notizia del libro (non ancora terminato) scritto da Di Domenico contro Di Pietro dovesse essere tenuta nascosta, intendiamoci. Ma pubblicarla così, raccontando solo un pezzo della storia di quei mesi, equivale a fare una scelta politica. Per capire quali siano stati i rapporti tra gli 007 e l’attuale leader dell’Idv, infatti basta poco. Basta rileggere gli atti della comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti (Copaco) e, ovviamente, la collezione del Corriere. Quelli che gli 007 avevano con Di Pietro erano rapporti semplici. Banali. Loro spiavano, lui e altri magistrati del pool, venivano spiati.
Il primo grande assalto all’indagine anti corruzione risale già alla primavera del 1992, quando il corrotto leader del Psi, Bettino Craxi, non ancora indagato, si mette alla furiosa caccia di notizie sul pm, arrivando a sostenere in agosto di avere in mano “un poker”. Cioè un elenco di accuse che poi si riveleranno un flop. Tra queste – e quelle lanciate nei mesi successivi – ve ne sono alcune assolutamente analoghe ai sospetti di oggi: dal ruolo degli americani in Mani Pulite, sino ai presunti misteri sul passato del leader dell’Idv.
Craxi raccatta notizie (a volte false, a volte vere) un po’ da tutti. Anche dagli 007 che in quei mesi lavorano a pieno ritmo. La politica infatti teme la “destabilizzazione”. Il presidente del consiglio Giuliano Amato (Psi), raccontano le cronache, è molto preoccupato. In luglio ha sollevato dall’incarico di direttore del Sismi, il generale Luigi Ramponi, futuro senatore di An, che nel 1995 spiegherà: “Volevano la mano libera”.
Poi ha affrontato a muso duro il compagno di partito Carlo Ripa di Meana rimproverandolo per il suo sostegno al pm contro il poker di Bettino. Secondo Amato, scrive Ripa di Meana nel suo libro Sorci Verdi, “l’azione giudiziaria di Mani Pulite – come indicavano i servizi e il capo della Polizia Vincenzo Parisi – era un pericolo per le istituzioni”. A Palazzo Chigi e al Viminale arrivano di continuo veline del Sisde, il servizio segreto civile, di cui Contrada è in quel momento il numero tre. Il Sisde insomma spia l’indagine, esattamente come farà il secondo reparto della Guardia di Finanza (gli 007 delle Fiamme Gialle).
Un’attività “illegittima”, spiega il comitato, condotta spesso attraverso la cosiddetta “fonte Achille”, un informatore la cui identità resterà per sempre sconosciuta.
Ma anche se ancora oggi non si sa chi fosse la fonte “Achille”, si conosce invece la trafila percorsa dalle informazioni da lui fornite. “Achille”, con tutta probabilità un investigatore, parla con un funzionario del Sisde che, in qualche caso, consegna a mano a Contrada delle veline.
Non si tratta però di note sempre affidabili. Le bufale,anzi, non mancano: il 29 aprile 1992 “Achille” comunica che “Di Pietro sarebbe stato sul punto di prendere provvedimenti nei confronti del figlio dell’onorevole Craxi: un avviso di garanzia”.
Il 4 maggio sostiene che nei confronti di Bobo sta per essere emesso addirittura un ordine di cattura. Mentre è più precisa l’informativa datata 6 maggio in cui si accenna a “una pista d’indagine appena aperta e concernente soggetti vicini all’onorevole Forlani“. Anche per questo, il Copaco, spiega che “vi sono state da piú parti manovre per intromettersi nelle indagini, per conoscere il loro svolgimento […] per esercitare un controllo illegittimo sui singoli magistrati e sulla loro vita, per costruire dossier che servivano a delegittimarli”.
Mentre in altri casi le notizie sono servite agli indagati per anticipare le mosse dell’inchiesta ed evitare l’arresto.Ma il Sisde e Contrada non erano soli. Pure gli 007 del secondo reparto della Guardia di Finanza svolgevano “un complesso e intenso lavoro volto a raccogliere note informative sui magistrati (tra i quali il dottor Di Pietro, il dottor Colombo e altri)”. Tanto che i dossier da loro raccolti finiranno poi per essere alla base di una serie di ispezioni ministeriali, di tipo vendicativo, scattate contro il pool di Mani Pulite a partire dal 1994 e regolarmente finite nel nulla.
Ma non basta. Perché parte delle informazioni raccolte dai servizi, più i tabulati telefonici di Di Pietro, verrano usati pure da Craxi: sia per costruire il suo “Poker” del ’92, sia per compilare una serie di veline anti giudici poi scoperte in via Boezio a Roma, in un suo archivio. Spiega il Comitato: “C’è una sinergia informativa tra le carte in possesso dell’ex presidente del Consiglio e questi documenti Su alcune situazioni (per esempio le indagini relative ad attività economiche riconducibili al Pci) egli ha utilizzato per le proprie schede materiali provenienti da quei dossier“.
Su Di Pietro, poi, Craxi accumula anche «una serie cospicua di schede informative, idonee a gettare sospetti infamanti e a demolire l’immagine del magistrato. Esse riguardano l’intera carriera del dottor Di Pietro da quando era in polizia, le sue amicizie, una serie di vicende private in base alle quali vengono costruite accuse contro di lui». Le stesse accuse, o quasi, rilanciate 18 anni dopo dal Corriere.
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Da il Fatto Quotidiano del 4 febbraio