Il pugno di ferro del governo contro Cosa Nostra si è trasformato in un favore ai mafiosi. L’intenzione, almeno sulla carta, era una punizione più dura per i boss, l’effetto, “per l’approssimazione con cui si fanno le leggi in tema di mafia”, come dice Antonio Ingroia, “è devastante”: nel pacchetto sicurezza approvato nel 2008 si nasconde una norma che spinge le pene per associazione mafiosa sopra i 24 anni. Oltre, dunque, la competenza stabilita per il giudizio dei Tribunali. Se n’è accorta la Cassazione che con una sentenza del 21 gennaio scorso ha definitivamente investito dei processi di mafia le corti di assise. Con la prospettiva certa della cancellazione di decine di processi, che devono ripartire da zero, e la scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia di centinaia di mafiosi. “Se dovesse prevalere la tesi della competenza delle Corti d’assise – sostiene Ingroia – sarebbe una vera e propria catastrofe con effetti che vanno dal regresso del processo in primo grado alla cancellazione di sentenze nei dibattimenti quasi conclusi. E qui si tratta dei capi dell’associazione mafiosa. Altro che processo breve. Sarebbe molto peggio, e le conseguenze si ripercuoterebbero nelle vicende di mafia”.
L’effetto domino è appena iniziato: a Catania si è fermato il processo contro Attilio Amante e altri otto imputati (che ha generato il verdetto di Cassazione), a Termini Imerese i giudici hanno bloccato il processo Perseo, con il tentativo di ricostituire la cupola mafiosa, nei giorni scorsi la quarta sezione del tribunale di Palermo, ha rinviato il dibattimento contro i boss Nino, Aldo, Salvatore e Giuseppe Madonia, tra i piu’ fedeli alleati di Totò Riina. Tra i pm di Palermo, che hanno convocato una riunione della direzione distrettuale antimafia, c’è allarme e sconcerto, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo Enrico Sanseverino denuncia “l’intasamento delle Corti di Assise per le quali il carico di lavoro era stato dimezzato ed adesso diventerà gravoso”. La Cassazione ammette: “C’é un buco nella legge, e’ un problema normativo: serve una correzione”. E il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ieri a Palermo, promette: “Faremo di tutto per evitare che ci possano essere conseguenze negative e che si possa creare un grande paradosso e cioé che dall’inasprimento delle pene per i reati di 416 bis possano derivare benefici per i boss”.
Sotto accusa è la decretazione d’urgenza che ha costretto il Parlamento a convertire in legge entro due mesi le norme, scritte evidentemente in tutta fretta, del cosiddetto Pacchetto sicurezza. “É il risultato dell’approssimazione con cui si fanno le leggi in tema di mafia – continua Ingroia – sono gli effetti di una legislazione che va avanti a strappi, in modo schizofrenico e disorganico”. E tra gli addetti ai lavori più diffidenti serpeggia anche il dubbio di un “errore non causale”, e qualcuno ricorda come un disegno di legge diretto ad assegnare la competenza dei reati di associazione mafiosa era stato ritirato, nel 2009, per la protesta dei pm antimafia. Il pugno duro del governo contro Cosa Nostra, infatti, si è trasformato in un regalo ai boss: se agli imputati di associazione mafiosa vengono contestate talune aggravanti – ad esempio essere stati “capi e promotori”, di avere agito con un’associazione armata, di avere reimpiegato in iniziative economiche i proventi di attività criminali (tutto ciò che fa ordinariamente Cosa Nostra) – la pena lievita anche fino a 30 anni e dunque scatta la competenza della Corte d’assise.
A rivelare il boomerang è stata un’ordinanza del 7 maggio 2009, del tribunale di Catania, che si è dichiarato incompetente, trasmettendo il processo ai mafiosi in corte di assise. Lo stesso hanno fatto, sei mesi dopo, togati e popolari, con un’altra ordinanza, datata 12 ottobre, che ha rimesso la questione alla Cassazione. E due settimane fa la Suprema Corte ha sciolto il rebus investendo definitivamente la corte di assise. La sentenza (finora è noto solo il dispositivo) è passata sotto silenzio, ma in suoi effetti appaiono adesso in tutta la loro devastante gravità: sono decine i mafiosi condannati a più di 24 anni, proprio la settimana scorsa i boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo hanno avuto inflitti 30 anni in uno dei dibattimenti del filone “Addio-pizzo”. E due settimane fa la stessa sorte, in appello, era toccata ai boss Nino Rotolo (condannato a 29 anni). Adesso si rischia anche l’ingolfamento ulteriore delle corti di Assise, oltre al fatto di affidare il giudizio degli imputati di mafia ad una maggioranza di giudici popolari, che non sono tecnici e che, soprattutto, in realtà come quelle meridionali potrebbero essere condizionati e intimiditi. La soluzione sta in una correzione normativa, si spera finalmente organica e non occasionale, affidata alla decretazione d’urgenza. “Ci auguriamo che veda presto la luce il testo unico antimafia – conclude il pm Ingroia – di cui ha nuovamente parlato il presidente del Consiglio nel vertice tenuto nei giorni scorsi a Reggio Calabria”.
da Il Fatto Quotidiano del 6 febbraio 2010