Ciancimino jr. mostra la lettera del padre a B.: "Forza Italia nata dalla trattativa Stato-mafia". Alfano: un piano per colpirci
Il "pizzino" è senza data, la scrittura è quella di don Vito Ciancimino, i nomi annotati segnano il percorso di una storia imprenditoriale parallela ed occulta: "Berlusconi–Ciancimino, Marcello Dell’Utri Milano truffa e harcore Ciancimino Alamia, Dell’Utri Alberto". Una storia che torna oggi a distanza di oltre 30 anni raccontata dal figlio dell’ex sindaco mafioso che in aula rivela: "Forza Italia è il frutto della trattativa tra Stato e mafia".
E per confermare le sue accuse tira fuori una lettera di scritta dal padre ma concordata con Provenzano nel 1994 e indirizzata a Dell’Utri (l’intestazione nel pizzino ritrovato, è saltata), e per conoscenza a Berlusconi, in cui don Vito minaccia di "uscire dal mio riserbo che dura da anni".
È la versione definitiva, inviata al destinatario attraverso il signor Franco, di una "bozza" che invece Provenzano avrebbe voluto più intimidatoria, minacciando un "triste evento", e cioè l’omicidio di uno dei figli di Berlusconi.
Don Vito l’avrebbe trasformata nella minaccia di parlare, sempre in perfetto stile mafioso. E che cosa minacciava di rivelare Ciancimino? Massimo risponde sicuro "che Forza Italia era nata dalla trattativa". Ma tra i segreti custoditi da don Vito come oggetto del possibile ricatto il pensiero corre anche agli investimenti di Milano 2, visto che il testimone ha parlato, dopo averli consegnati ai pm, di documenti manoscritti dal padre sul contributo di miliardi che Cosa Nostra, per suo tramite, avrebbe dato ai cantieri che proiettarono il futuro presidente del Consiglio nell’olimpo dell’imprenditoria italiana.
Adesso il "pizzino", assieme ad altri documenti e nuovi verbali di Massimo Ciancimino, è stato trasmesso alla procura generale che dovrà valutare se chiedere di nuovo l’audizione di Cianci-mino nel processo Dell’Utri, la cui requisitoria è ormai in via di conclusione. L’odore dei soldi mafiosi sulla direttrice Palermo-Arcore e l’ombra del ricatto alle istituzioni si spandono dunque nell’aula bunker dell’Ucciardone nella deposizione choc di Massimo Ciancimino, che scuote, come le parole del pentito Spatuzza, il dibattito politico.
Il ministro Alfano replica indignato: "Forza Italia ha emozionato milioni di persone, mai avuti contatti con la mafia". Per Dell’Utri il teste è "manovrato dai pm di Palermo", il generale Mario Mori, imputato nel processo per la mancata cattura di Provenzano, si lascia scappare una metafora militare: "Dice minchiate a nastro, come una mitragliatrice". Per la prima volta Ciancimino jr parla di un’unica trattativa tra mafia e pezzi dello Stato, collocandovi al centro il padre, tradito e sostituito, a suo dire, da Dell’ Utri, ma rimasto comunque "consigliori" politico di Provenzano.
Sentiamo Massimo sulla "posta" del ricatto: "Vidi per la prima volta quel pizzino consegnatomi da Provenzano nel 1994, lo portai a mio padre detenuto a Rebibbia e glielo lessi. Lui poi scrisse la lettera. E mi disse di avere avuto l’idea di scrivere a Berlusconi dopo un’intervista che aveva rilasciato a Repubblica nel 1977 in cui diceva che avrebbe messo a disposizione una rete televisiva di un amico se fosse sceso in campo in politica".
Nasce così la lettera di minaccia che Ciancimino jr. spiega in questo modo: "Il ruolo di mio padre era quello di richiamare il partito (Forza Italia, ndr.) a tornare un poco sui suoi passi e di non andare fuori dai ranghi, Berlusconi era il frutto di questi accordi".
Un richiamo a Forza Italia, insomma, in puro stile mafioso. Che, però, si tinge di "giallo". Il pizzino verrà ritrovato anni dopo, nel 2005, durante una perquisizione in un magazzino dell’azienda di Massimo, ma spezzato a metà, con la parte superiore mancante.
"Ho svuotato la cassaforte ma quel foglio mi è sfuggito, l’ho visto intero fino a due mesi prima della perquisizione", ha detto il testimone che ha ribadito le sue accuse ai carabinieri di non aver aperto la cassaforte di casa sua, all’Addaura, ma anche quella, "ancora più grande", della sua casa di Roma rivelando di aver ricevuto suggerimenti da parte dei servizi, ma anche dell’ufficiale del Ros De Donno, di non parlare della trattativa.
E per spiegare il suo "centellinare" la produzione di documenti in procura, ha rivelato che 15 giorni prima dell’arresto venne avvertito di portare all’estero tutta la documentazione. Con tutte le difficoltà per tornarne in possesso.
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da il Fatto Quotidiano del 9 febbraio