Le autorità americane temono che Julian Assange sia in possesso di 260mila documenti riservati, dispacci diplomatici e di intelligence.
Il nuovo nemico del Pentagono si chiama Julian Assange. Non si nasconde sulle montagne al confine tra Pakistan e Afghanistan e non pianifica attentati sul territorio americano. Eppure, rischia di recare danni incalcolabili alla Difesa e alla Diplomazia degli Stati Uniti. Assange, passaporto australiano ma di fatto cittadino del mondo, è il fondatore di Wikileaks, il sito che, secondo Time Magazine, “potrebbe diventare uno strumento giornalistico importante almeno quanto il Freedom of Information Act”.
Che Wikileaks potesse costituire una pericolosa spina nel fianco per l’Amministrazione americana (e non solo) lo si è capito chiaramente quando ha diffuso in rete un video del 2007 di proprietà dell’esercito Usa, ribattezzato su Youtube “Collateral Murder”, in cui soldati americani su elicotteri Apache aprivano il fuoco e ammazzavano un gruppo di civili iracheni senza darsi pensiero di verificare un po’ più accuratamente la loro effettiva pericolosità.
Di più, dalle frasi scambiate e chiaramente udibili si percepiva il desiderio, meglio, l’urgenza, di aprire il fuoco. Dodici erano state in tutto le vittime, tra cui due dipendenti della Reuters.
Un episodio che aveva creato fortissimi imbarazzi al Pentagono e alla Casa Bianca e che potrebbe non rimanere un caso isolato. Per quel video è stato sbattuto in cella un militare di 22 anni, Bradley Manning, che aveva lavorato come Intelligence Analyst per l’Esercito. Ora il Pentagono teme che il ragazzo, genio del computer, possa aver passato ad Assange qualcosa come 260mila dispacci diplomatici e di intelligence (chiamati tecnicamente “cables”) etichettati come confidenziali.
Le autorità americane hanno paura che la diffusione di queste notizie possa arrecare serio danno alla sicurezza nazionale, come riporta anche il sito “Daily Beast” di Tina Brown, ex direttore di Vanity Fair e del New Yorker.
Manning, originario di Potomac, nel Maryland, si trova da un mese in una prigione del Kuwait, dopo essersi vantato con un hacker residente in California di essere stato lui a passare il video girato in Iraq a Wikileaks. In qualità del lavoro svolto per l’esercito, il ragazzo, nonostante la giovane età, ha avuto per diverso tempo accesso a rapporti provenienti dai campi di battaglia, sia in Afghanistan che in Iraq, così come a resoconti di natura diplomatica sui governi del Medio Oriente. Sempre confidandosi con l’hacker, aveva commentato poco prima dell’arresto: “A Hillary Clinton e a diverse migliaia di diplomatici intorno al mondo verrà un colpo quando un giorno si sveglieranno e troveranno che una miniera di informazioni classificate sulla politica estera americana sono alla portata di tutti”.
Difficile che Manning abbia millantato. Una cosa è certa: il Pentagono deve aver preso queste affermazioni molto seriamente se ora sta cercando Assange in ogni angolo del pianeta. “Vorremmo sapere dove si trova e contare sulla sua collaborazione in questa faccenda”, ha dichiarato un ufficiale al Daily Beast con un tono che sembrava più una preghiera che una minaccia.
Non sfugge infatti alle autorità a stelle e strisce che, per quanto Wikileaks possa aver infranto leggi americane, difficilmente si potranno fermare le sue pubblicazioni online. I server del sito si trovano in Paesi diversi, e in modo particolare in Svezia, nazione conosciuta per essere particolarmente protettiva nei confronti di siti di questo tipo.
Per adesso Wikileaks si è limitata a rispondere al fatto che le autorità sono sulle tracce di Assange con un messaggio su Twitter. “Ogni segno di comportamento inaccettabile da parte del Pentagono e dei suoi agenti verso questo organo di stampa sarà giudicato un segno di debolezza”. Sempre tramite Twitter, Wikileaks ha bollato come “incorrette” le affermazioni secondo le quali sarebbero giunti al sito 260mila “cable” ancora classificati provenienti dalle ambasciate americane sparse per il Medio Oriente.
Informazioni “incorrette”, ma non astruse. Per il Dipartimento di Stato americano è difficile immaginare un incubo peggiore.
Secondo Daniel Ellsberg, l’autore dei “Pentagon Papers”, Assange potrebbe essere in pericolo. I due si sarebbero dovuti incontrare la settimana scorsa a New York al “Personal Democracy Forum”. Assange, su consiglio dei suoi avvocati, ha preferito invece prendere parte all’incontro via Skype rimanendosene comodamente in Australia. Venerdì scorso avrebbe dovuto prendere parte a una conferenza internazionale sul giornalismo investigativo a Las Vegas, ma ha scelto di disertare l’incontro sulla base di non meglio specificate “ragioni di sicurezza”.
da Il Fatto Quotidiano del 13 giugno 2010