Che la crisi si aggravi
Il titolo del profetico libro di François Partant è forse l’indicazione migliore per comprendere la situazione attuale. E per individuare e costruire percorsi alternativi ai modelli economici e di vita imperanti
La crisi nata in Grecia si sta espandendo a tutta l’area dell’euro e sarà più pesante in quei paesi che presentano un debito pubblico elevato. E l’Italia ha un debito pari al 115,8 per cento del prodotto interno lordo: ha un debito superiore a quanto «produce». Infatti il deficit pubblico annuo rispetto al pil si mantiene sul 5,3 per cento. E qui tralasciamo le numerose critiche che vanno fatte al pil come misuratore della ricchezza nazionale. Ma c’è un altro elemento «allarmante»: dai dati raccolti e analizzati dall’Eurostat emerge che la prospettiva di lavoro per chi ha meno di 25 anni è peggiore in Spagna, dove è senza lavoro un ragazzo su tre (33,6 per cento), seguita dalla Lettonia (28,2 per cento) e dall’Italia dove è senza lavoro un giovane su quattro (24,9 per cento).
La speculazione finanziaria
A fronte di questa situazione tutt’altro che rosea si sono inseriti quei «brillanti giovanotti al computer» che lavorano per potenti organizzazioni finanziarie (e non solo). Questi hanno colto la palla al balzo e hanno lanciato una grande operazione speculativa sull’euro, così come aveva fatto nell’autunno 1992 il finanziere George Soros quando mise al tappeto lira e sterlina. Allora il «gioco» tendeva a mettere in crisi il Sistema monetario europeo, oggi l’obiettivo è l’euro e il sistema economico-poltico sviluppatosi con la moneta unica europea.
Insomma, è in atto una partita che va ben oltre la ricerca di ingenti guadagni finanziari. C’è dell’altro. Consapevolmente o non, i cosiddetti «gnomi finanziari» con le loro operazioni sulle monete stanno rendendo necessaria una modifica degli assetti istituzionali a livello mondiale. E tutti sanno che il Fondo monetario internazionale così come la Banca mondiale non sono istituzioni benefiche. Basta guardare che cosa hanno combinato negli anni passati nei paesi del cosiddetto terzo mondo.
Nel 2008 (ricordate?) la crisi finanziaria originata, ma non solo, dai mutui subprime ha sconvolto l’economia dei paesi ricchi e ha peggiorato quella dei paesi poveri, adesso il dissesto della finanza pubblica della Grecia, mettendo in grandi difficoltà l’euro, ripropone uno scenario a tinte fosche.
Giustamente Massimo Amato e Luca Fantacci nell’analizzare la crisi del 2008 scrivevano: «… le misure messe in atto per uscire da questa crisi rischiano di non fare altro che preparare la prossima. Affidandosi pressoché unicamente a iniezioni di liquidità senza precedenti, le banche centrali e i governi hanno mostrato di non comprendere che la liquidità non è semplicemente una quantità di denaro, che essa sia generata dal mercato, come è accaduto nella fase di boom, oppure messa a disposizione dagli stati nell’attuale fase di contrazione. Ciò che appanna e depotenzia ogni intervento è la mancata considerazione di una nozione tanto semplice quanto dimenticata… la moneta non è moneta se non si riesce a far sì che circoli» (Fine della finanza, Donzelli, Roma, 2009).
Vivere altrimenti il presente
È chiaro, allora, che il sistema economico imperante vive di crisi. Anzi, il prodursi e il riprodursi in tutte le forme del termine crisi ci fa intravedere una realtà occultata, un non detto perché fuori dagli schemi: il sostantivo che contrassegna questa nostra epoca è la crisi. Comprendere che la crisi è l’analizzatore (come direbbe René Lourau, Lo stato incosciente, Elèuthera, 1988) della società attuale ci permette, dunque, di mettere a nudo la dinamica sociale, anzi è il fenomeno che rivela la modificazione qualitativa della società e della nostra vita quotidiana.
Que la crisi s’aggrave scriveva nel 1978 François Partant e non era affatto un invito «al tanto peggio tanto meglio», anzi. Partant è stato un precursore della decrescita poi analizzata e proposta, come via d’uscita da una situazione che ci porterà al disastro, da Serge Latouche: «La situazione attuale, anche qui nel nord del mondo, non sarebbe peggiore se fossimo capaci di liberarci della tossicodipendenza del consumo e del lavoro. Quando l’economia è in crisi, la società sta tanto meglio che diminuisce il consumo di antidepressivi. Può essere l’occasione per la fioritura di tante iniziative «decrescenti» e solidali: gruppi d’acquisto solidale, sistemi di scambio locali, autoproduzione assistita, giardini condivisi… Bisogna fare di tutto perché la recessione non sia l’anticamera del caos e di un ecofascismo odioso, ma una tappa verso la decrescita serena e conviviale» (Carta, n.41).
Che in altra forma è quanto si sosteneva su Libertaria nel n. 1-2/2009, La crisi? Può essere un’occasione: «Allora pensare e praticare (per quanto è possibile) forme di autonomia economica locale è un piccolo sentiero in utopia. Vale a dire che possiamo e dobbiamo opporre al moloch (vulnerabile) della globalizzazione la piccola realtà gestibile dalle persone. E poi approfondire quelle forme già in atto come gruppi di acquisto, gruppi di autoproduzione e di scambio per creare ipotesi di «mercato parallelo», quindi economie alternative (termine un po’ abusato, ma sempre valido nella sua essenza) in grado di soddisfare bisogni ed esigenze locali. Questi deboli tentativi di fuoriuscita dal mercato capitalista sono meno fragili di quanto possa sembrare a prima vista. Ad almeno una condizione: se sono capaci di creare una nuova socialità, una nuova convivialità. Anticorpi al mercato delle multinazionali».
Cioè come scriveva Partant: «Non si tratta di preparare un avvenire migliore, ma di vivere altrimenti il presente».