Con la nomina di Brancher i ministri di Berlusconi diventano 24. Due anni fa, a inizio legislatura, erano 21. E per i sottosegretari walzer di poltrone
Una dieta all’ingrasso. Mentre dall’Africa le vuvuzelas catalizzano l’attenzione degli italiani, il governo si “allarga” senza che nessuno se ne accorga. Con la nomina di Aldo Brancher, il numero dei ministri di Silvio Berlusconi è passato dai 21 della squadra originaria ai 24 attuali. Nei primi due anni di legislatura, intanto, il numero totale dei componenti (tra ministri, vice e sottosegretari) è passato da 60 a 65 elementi.
Vediamo la cronologia di questo ampliamento. È il 21 aprile 2008 e Berlusconi ha da poco vinto le elezioni: “Sarà un governo snello – annuncia – circa la metà rispetto a quello di centro-sinistra. Tra ministri con e senza portafoglio e sottosegretari non supereremo le 60 unità”. Proprio come indica la Finanziaria 2008: “Il numero totale dei componenti del Governo a qualsiasi titolo – si legge nel testo – non può essere superiore a sessanta”. Promessa mantenuta. L’8 maggio 2008, mentre Piazza Affari segna il peggior risultato d’Europa, viene presentato il nuovo esecutivo. “Una squadra leggera” scrivono i quotidiani, 21 ministri e 37 sottosegretari, che con il premier e Gianni Letta (nominato nel corso del primo consiglio dei ministri) fanno giusto 60 elementi. Una bella differenza rispetto al Prodi II, che con i suoi 103 componenti, era riuscito a creare una vera e propria corazzata Potëmkin.
Ma siamo appena all’inizio. Da uomo di comunicazione, Berlusconi lo sa: la prima impressione è quella che conta. Gli italiani sono stanchi dei costi della politica, di auto blu, sprechi e infiniti dicasteri. E poi bisogna rispettare la legge. Peccato che nel corso del primo anniversario della XVI legislatura cominci la “lievitazione”: l’8 maggio 2009 viene nominata Michela Vittoria Brambilla al Turismo. La squadra arriva a 23 elementi il 31 dicembre 2009 con la nomina di Ferruccio Fazio alla salute. E la legge? Se ne fa un’altra (13 novembre 2009, n.172) che alza l’asticella a un numero massimo di 63 componenti di governo. Non basta. Per la missione leghista non sono sufficienti le nomine di Umberto Bossi (Riforme per il federalismo) e Roberto Calderoli (Semplificazione normativa). E così, con l’Italia in trepida attesa, pochi giorni fa, per la seconda partita della nazionale ai Mondiali, passa pressoché in sordina – ma non senza polemiche – la promozione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Aldo Brancher (imputato nel caso Fiorani) a ministro senza portafoglio con delega al federalismo. E’ il ventiquattresimo ministro.
Complessivamente, il governo è a quota 65, perché al di là degli spostamenti da sottosegretario a ministro (che non cambiano il numero complessivo), ci sono state 5 new entry: Guido Bertolaso (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) dal 23 maggio 2008), e poi quattro nuovi sottosegretari nominati il 4 marzo 2010: Guido Viceconte, Andrea Augello, Daniela Santanchè e Laura Ravetto. Insomma in poco più di due anni dal giuramento del Berlusconi quater, il Governo è lievitato dell’8,3 per cento (incluso il dicastero dello sviluppo economico che dopo le dimissioni di Claudio Scajola è ancora assegnato ad interim al presidente del Consiglio). Meritano un capitolo a parte invece i sottosegretari alla presidenza del Consiglio: nell’arco di due anni sono aumentati del 25% grazie appunto alle nomine di Santanchè (Programma di governo), Augello (Pubblica amministrazione) e Ravetto (Rapporti con il Parlamento).
Stessa storia per i viceministri: nel 2008 il premier, pressato dalle richieste degli alleati, decise di partire senza. Salvo poi aggiungerne quattro in corsa con il solito giro di poltrone: vengono così “promossi” i sottosegretari Paolo Romani e Adolfo Urso (dal 30 giugno 2009 allo Sviluppo Economico), Giuseppe Vegas (dal 21 maggio 2009 all’Economia) e Roberto Castelli (dal 21 maggio 2009 alle Infrastrutture). Non dimentichiamo poi che i ministri (che con Brancher sono diventati 24), sarebbero potuti essere addirittura 25: se all’inizio del 2010 non avessero fatto capolino i “massaggi” del Salaria Village, sarebbe stato promosso anche Guido Bertolaso: “Dopo l’exploit straordinario che Guido ha fatto in questi dieci mesi in Abruzzo – ha spiegato a gennaio Berlusconi da L’Aquila – il minimo che possiamo dargli come riconoscimento è la nomina a ministro da parte del presidente del Consiglio”. La “cricca” blocca tutto. Due settimane dopo, le notizie dell’inchiesta sul G8 della Maddalena e i grandi appalti spingono anzi Bertolaso a presentare le dimissioni (rifiutate) da sottosegretario.