Quanta tristezza due giorni fa, nella domenica in cui la Lega celebra il suo equivoco di lotta e di governo, ascoltare le polemiche provenienti dal Partito democratico, anzi dai giovani democrat, o sedicenti tali. Non sembrerebbe proprio il momento di porre nell’agenda della discussione politica il problema del “come chiamarsi”.
Compagni sì o compagni no? Una presa di posizione su Pomigliano, una riflessione sul mondo dei precari. No, alcuni giovani piddini decidono che è meglio prendersela con Peppone, in questo caso impersonato dall’attore Fabrizio Gifuni, reo di aver pronunciato le fatidiche parole “compagne e compagni” sul palco del Palalottomatica, alla manifestazione anti-manovra tremontiana convocata dal segretario Pier Luigi Bersani.
Addirittura scrivono una lettera al segretario, quelle parole li hanno proprio offesi. Loro, ventenni che non appartengono alla tradizione ex comunista, si sentono “fuoriposto” se qualcuno osa chiamarli compagni. Non si sentono altrettanto fuoriposto, purtroppo, quando i dirigenti del Pd organizzano convegni e sprecano fiato sul “modello Lega” da scimmiottare, con quel ritornello insopportabile sul “partito radicato nel territorio”.
Territorio poi… Di cosa si parla? Della Terra di Mezzo? Sei i giovani del Pd vogliono un partito vicino alla gente e ai suoi problemi, invece che alla Lega, anche se non appartengono alla tradizione ex comunista, guardino a quel “compagno” di Enrico Berlinguer. Le sue ultime parole dal palco di Padova, quel 7 giugno 1984, furono: “Compagni, proseguite il vostro lavoro… casa per casa… strada per strada…”.